Identificazione dell’indagato e del potenziale testimone

Identificazione dell’indagato e del potenziale testimone

(art. 66, 161 349 c.p.p.; art. 21 disp. att. c.p.p. )

 

  1. Brevi considerazioni introduttive.

Il nostro ordinamento giuridico prevede due tipologie di identificazione, cui fanno seguito due  corrispondenti tipologie di fermo di identificazione:   

  • l’identificazione ed il fermo di identificazione di polizia giudiziaria, disciplinato dall’art. 349 c.p.p.;
  • l’identificazione ed il fermo di identificazione di pubblica sicurezza, disciplinato dall’art. 11 d.l. 21.03.1978, n° 59, convertito nella l. 191/78.

L’identificazione ed il  fermo di  identificazione di polizia giudiziaria hanno finalità repressiva, in quanto costituiscono  strumenti di indagine di cui si avvale la polizia giudiziaria  per reprimere un  reato già commesso.

Mentre, l’identificazione ed il fermo di identificazioone di pubblica sicurezza hanno finalità preventiva, cioè servono  per prevenire una eventuale condotta criminosa, ovvero la perpetrazione di una qualsiasi altra  tipologia di illecito diverso da quello penale, nonché semplicemente   per  identificare una qualsiasi persona che non ha,  spontaneamente,  aderito alla richiesta degli organi di P.S. di farsi identificare.

Per comodità espositiva (onde evitare di dilungarci troppo sulla corposità di tutti gli argomenti), in questo articolo ci si soffermerà solo, in forma peraltro riassuntiva,  sull’identificazione di P.G.,  mentre in un apposito quaderno giuridico  saranno trattati  il fermo di identificazione di P.G., nonchè l’identificazione ed il fermo di identificazione di P.S. .

 

  1. Casi in cui si ha l’obbligo di effettuare l’identificazone di polizia giudiziaria.

L’attività di identificazione costituisce un obbligo per la polizia giudiziaria e tale obbligo  sorge solo  in presenza di un reato.

Affinchè sorga l’obbligo della identificazione di P.G., non assume alcuna  rilevanza la gravità del reato, in quanto  si può trattare di un reato di estrema gravità come anche di un reato bagatellare. Allo stesso modo, non importa se il reato sia stato consumato ovvero solo tentato, perchè in tutti questi casi sorge sempre l’obbligo (e non la mera facoltà) per la P.G. di procedere all’identificazione.

 

  1. Organi di P.G. legittimati all’identificazione di polizia giudiziaria.

Il sopra citato art. 349, comma 1,  c.p.p. stabilisce,  genericamente,  che l’identificazione prevista da tale norma può essere effettuata dalla polizia giudiziaria, senza,  tuttavia, precisare se debba trattarsi solo di ufficiale ovvero anche di agente di P.G. .

Per fare chiarezza su tale aspetto, risulta utile ricordare che, secondo una tecnica legislativa ormai abbastanza consolidata, l’uso da parte del legislatore della locuzione  “polizia giudiziaria” senza alcuna ulteriore specificazione, fa sempre riferimento alla  polizia giudiziaria nel suo complesso, che com’è noto è costituita sia da ufficiali che da agenti di P.G. .

Tenendo conto di ciò e del fatto che il predetto art. 349, comma 1,  c.p.p.  si riferisce genericamente alla polizia giudiziaria,  ne consegue  che sia gli ufficiali che gli  agenti di P.G. sono legittimati (rectius: obbligati) all’espletamento delle procedure identificative disciplinate  dalla norma in esame.

 

  1. Soggetti che possono essere identificati dalla polizia giudiziaria.

Come già  sopra anticipato, il  citato art. 349, comma 1, c.p.p. prevede che il potere di identificazione della polizia giudiziaria può ed anzi  deve essere esercitato nei confronti di due distinte categorie di soggetti:

  • la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, che per comodità espositiva indicheremo come indagato;
  • la persona in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti, che, anche in questo caso  – per mera facilità -,  indicheremo come  potenziale testimone.

Rimane esclusa la possibilità di ricorrere all’identificazioone di P.G. per tutte quelle persone che non rientrino in una delle due predette categorie di soggetti.

Ovviamente, le modalità di identificazione saranno diverse per l’indagato e per il potenziale testimone, in conseguenza della diversa posizione che questi soggetti rivestono all’interno del procedimento penale . Ed invero, le modalità di identificazione dell’indagato saranno più  rigide e stringenti rispetto a quello previste per il potenziale testimone.

Nei paragrafi seguenti, vengono esaminate le diverse modalità procedurali, previste dall’art. 349 c.p.p.,  per l’identificazione di queste due categorie di soggetti.

 

  1. Articolazione della disciplina codicistica dell’identificazione e del  fermo di identificazione di polizia giudiziaria.

Tuttavia, prima di esaminare le modalità identificative dell’indagato e del potenziale testimone, si impone la necessità di fare un’importante premessa, che attiene alla  tecnica legislativa utilizzata nella formulazione dell’art. 349 c.p.p., cioè della norma che disciplina l’intero impianto dell’identificazione di P.G. . Si tratta di una precisazione che ci consente di meglio leggere e comprendere  il reale  contenuto dispositivo del più volte citato art. 349 c.p.p. .

Ed invero,  la  struttura della norma in esame è tale da far  individuare al suo interno due distinte fasi  procedurali, che devono seguirsi per l‘identificazione:

  • nella prima parte della norma (commi 1, 2, 2 bis e 3) vengono dettate le regole per l’identificazione dell’indagato e del potenziale testimone;
  • nella seconda parte della norma (commi 4, 5 e 6) viene, invece, riportata la procedura del fermo di identificazione,  che dovrà essere seguita  nell’ipotesi in cui l’indagato ovvero il  testimone rifiutino di farsi identificare, nonchè  quando ricorrano elementi sufficienti per ritenere che siano falsi i documenti di identificazione esibiti, ovvero le dichiarazioni fornite per provare la loro indentità.

Le due fasi procedurali sono legate tra loro dal vincolo della necessaria conseguenzialità, nel senso che si potrà accedere alla seconda fase solo quando la prima fase identificativa non abbia condotto all’identificazione certa  dell’indagato o del testimone.

In questo articolo si esaminerà solo la prima parte della norma, cioè quella che prevede l’identificazione dell’indagato e del potezniale testimone. Mentre, in apposito quaderno giuridico sarà trattata la seconda parte della norma, cioè il fermo di identificazione dell’indagato e del potenziale testimone.

Chiarito ciò, si possono esaminare le diverse modalità identificative dell’indagato e del potenziale testimone.

 

  1. Identificazione del potenziale testimone.

Soffermandoci, per ora, solo sulla  prima parte dell’articolo  in esame (commi 1, 2, 2 bis e 3), cioè su quella parte che disciplina la prima fase procedurale di identificazione, si rileva che in essa vengono statuite le modalità di identificazione per l’indagato e per il  potenziale testimone.

Limitandoci, in questo paragrafo,  solo all’identificazione del  potenziale testimone, si rileva che la norma in esame,  per l’espletamento di questa  attività,   non prevede particolari formalità da osservare.

Di conseguenza, nel silenzio della norma,  la P.G. si limita a rivolgergli l’invito   a dichiarare le  proprie generalità e quant’altro valga per la sua identificazione. Tale invito deve,  peraltro, essere  rivolto al testimone sul luogo in cui lo stesso viene rinvenuto, che può  essere un qualsiasi luogo, compresa la pubblica strada.

Le dichiarazioni rese dal potenziale testimone sulla sua identitità personale e gli estremi del documento di riconoscimento esibito    saranno raccolti ed annotati  dalla P.G. nel c.d. verbale di identificazione, senza dover seguire ulteriori formalità e/o procedure, ad eccezione delle sole regole previste dagli artt. 136-142 c.p.p., che disciplinano le modalità di redazione di un qualsiasi  altro verbale di natura processual-penalistica.

Pertanto,  il verbale di identificazione del teste deve contenere i seguenti dati:

  • data e luogo di identificazione;
  • data e luogo di redazione del verbale, se diversi da quelli dell’identificazione;
  • nominativo del verbalizzante;
  • generalità anagrafiche dichiarate dalla persona identificata e qualunque altro elemento da essa stessa dichiarato che valga per la sua identificazione,  indicazione  del luogo in cui è possibile rintracciarla (se diverso dalla residenza); questi requisiti devono essere riportati riproducendo le stesse identiche dichiarazioni rese dalla persona identificata;
  • indicazioni delle modalità di identificazione (es. documenti di identificazioni, dichiarazioni di altri soggetti a loro volta identificati a mezzo di documenti di identificazione, ecc…);
  • indicazione di tutte le persone presenti al momento dell’identificazione ed a quello di redazione del conseguente verbale;
  • sottoscrizione del verbalizzante e di tutti i presenti al compimento dell‘atto

In merito alla sottoscrizione del verbale, seguendo la disciplina dettata dal citato art. 137 c.p.p. per la redazione di un  qualsiasi verbale procedurale, appare utile rilevare due importanti indicazioni  che si desumono da tale norma:

  • tutte le sottoscrizioni del verbale di identificazione devono essere apposte alla fine di ogni foglio di cui si compone lo stesso  verbale;  pertanto, non sarebbe sufficiente una sottoscrizione apposta solo alla fine del verbale;
  • il verbale di identificazione del teste deve essere  sottoscritto non solo dal verbalizzante, ma anche  dalla persona identificata.

In merito a quest’ultima indicazione,  è utile ricordare  che, ai sensi dell’art. 142 c.p.p., la firma del verbalizzante è richiesta sempre a pena di nullità del verbale. Mentre,  la firma della persona identificata, pur non essendo richiesta dal citato art. 142 c.p.p. ad substantiam (cioè per la validità del verbale), tuttavia è necessaria affinchè il verbale risulti  conforme al citato art. 137 c.p.p. . In caso contrario, il verbale risulterà irregolare (anche se valido) e quindi il verbalizzante potrebbe andare incontro all’azione disciplinare della Procura Generale della Corte di Appello, prevista dagli artt. 16 e ss. disp. att. c.p.p. .

 

  1. Identificazione dell’indagato.

Le modalità di identificazione dell’indagato sono più rigide e complesse di quelle previste per il  potenziale testimone.

Ed invero, in via preliminare, si può cominciare con il dire  che l’identificazione dell’indagato è articolata in due distinte modalità procedurali, nelle quali si devono rispettare specifiche formalità. Sin da ora, si deve precisare che la prima modalità procedurale è sempre  necessaria e da essa non si può prescindere, mentre la seconda modalità  risulta solo eventuale e ad essa si accede solo quando nel primo caso  non sia stata raggiunta la certezza sull’identità fisica ed anagrafica dell’indagato.

 

  1. Prima modalità procedurale di identificazione dell’indagato.

Nell”esaminare la disciplina codicistica  della prima modalità di identificazione dell’indagato, è opportuno considerare che essa   si distingue dalla seconda modalità identificativa, sostanzialmente, per due motivi.

In primo luogo, si rileva che la prima modalità di identificazione dell’indagato, pur prevedendo l’assolvimento di specifiche forme procedurali, tuttavia  è più  semplice e snella, perchè non richiede l’espletamento di rilievi segnaletici e di accertamenti di natura tecnico-scientifica, per come invece previsto per la seconda modalità identificativa.

Inoltre, questa prima modalità di identificazione non prevede un luogo specifico per il suo espletamento, ma si svolge  nello stesso luogo in cui l’indagato viene rinvenuto. Pertanto,  si può svolgere sulla pubblica strada,  oppure in un luogo chiuso,   ovvero anche nello stesso ufficio della P.G. procedente o comunque in qualsiasi altro posto in cui viene trovato l‘indagato.

Invece,  la seconda modalità identificativa prevede l’esecuzione di specifici rilievi segnaletici ed accertamenti tecnici a carico dell’indagato. Si tratta di attività  che  di certo, sul piano  logistico,  non si possono eseguire in un luogo diverso dalla sede dell’ufficio della polizia giudiziaria procedente.

Fatte queste debite differenze,  si può procedere all’esame della  prima modalità di identificazione dell’indagato.

In proposito,  l’art. 349, comma 3, c.p.p. si limita a stabilire che l’identificazione dell’indagato  si deve svolgere seguendo le regole meglio esplicitate dagli artt. 66 e 161 c.p.p. .

Pertanto, per avere un quadro completo di questa prima modalità procedurale di identificazione dell’indagato,  si devono  esaminare partitamente queste due norme, che vengono  richiamate per relationem dall’art. 349, cominciando dal citato art. 66.

 

  • Prima modalità di identificazione dell’indagato: assolvimento delle procedure previste dall‘ art. 66 c.p.p.

Ebbene, dalla lettura dell’art. 66 c.p.p. si desumono due importanti indicazioni, rispettivamente, attinenti al momento in cui la P.G.  deve effettuare l’identificazione ed alle modalità che deve seguire per tale identificazione.

Per quanto riguarda il momento in cui va eseguita l‘identificazione, l’art. 66 stabilisce che la P.G. deve identificare l’indagato quando compie il primo atto di indagine al quale è presente lo stesso indagato (es. se la P.G. agisce di iniziativa e compie come  primo atto di indagine il sequestro preventivo o probatorio di un manufatto abusivo e sul posto  è presente l’indagato, quest’ultimo deve essere necessariamente identificato; oppure,  nel caso di un incidente stradale con feriti, l’autore dell’incidente presente sul posto deve essere indentificato già al momento dei rilievi stradali, perchè questi ultimi costituiscono il primo atto di indagine).

Come già detto, l’altra importante indicazione che si desume dall’art. 66 c.p.p. attiene alle concrete modalità esecutive che si devono seguire per identificare l’indagato.

Infatti, l’art. 349 c.p.p., mediante il richiamo dell’ art. 66 dello stesso codice di rito,  richiede che la P.G., per identificare l’indagato, deve compiere due distinte attività:

  • deve invitare l’indagato a dichiarare le proprie generalità e quanto valga per la sua identificazione;
  • deve avvisare l’indagato delle conseguenze cui si espone nel caso in cui rifiuiti di farsi identificare, ovvero fornisca  dichiarazioni o documenti falsi di identificazione.

E’ qui opportuno specificare che non è sufficiente ricordare  all’indagato, in modo generico e quasi stereotipato, il rischio di incorrere in conseguenze penali, bensì è necessario che gli siano  indicate le precise e specifiche conseguenze cui si espone. Facendo riserva di ritornare in modo più approfondito  sull’argomento in un apposito quaderno giuridico, in questa sede sarà sufficiente  anticipare che le conseguenze che si devono prospettare  all’indagato sono di due tipi:

  • conseguenze di diritto penale sostanziale, consistenti nella ricorrenza delle diverse figure di reato, che vengono integrate dal rifiuto di farsi identificare, ovvero dalla falsità delle dichiarazioni e/o dei documenti identificativi esibiti;
  • conseguenze di carattere procedurale, che si concretizzano nel c.d. fermo di identificazione.

Ciò detto, per avere chiaro il quadro normativo sull’identificazione dell‘indagato, bisogna ancora rilevare che la disciplina contenuta nell’art. art. 66 c.p.p. trova il suo  completamento nell’art. 21  disp. att. c.p.p.. Ne deriva che l‘ identificazione dell’indagato, per essere completa e precisa,  deve essere eseguita tenendo conto di quanto previsto dall’art. 66 c.p.p., per come quest’ultima norma  risulta  integrata dall’art. 21 disp. att. c.p.p..

Ebbene, l‘art. 21,  testè citato,  prevede che quando si deve identificare l’indagato (ovvero l’imputato) bisogna richiedergli quanto segue:

  • se ha un soprannome ovvero uno pseudonimo;
  • se ha beni patrimoniali;
  • quali siano le sue condizioni di vita, individuali, familiari e sociali;
  • se ha procedimenti penali in corso;
  • se ha riportate condanne penali nello Stato ovvero all’estero;
  • se esercita o ha esercitato uffici o servizi pubblici ovvero servizi di pubblica necessità;
  • se ricopre ovvero ha ricoperto cariche pubbliche.

In definitiva, la P.G., quando identifica l’indagato,  lo deve invitare a dichiarare le sue generalità e quant’altro valga ad identificarlo, lo avvisa delle conseguenze cui va incontro in caso di rifiuto ovvero in caso di documenti o dichiarazioni non veritiere  ed infine  lo invita a fornire tutte le informazioni  previste dall’art. 21 disp. att. c.p.p. .

 

  • Prima modalità di identificazione dell’indagato: assolvimento delle procedure previste dall‘ art. 161 c.p.p

Com’è stato anticipato sopra, l’identificazione dell’indagato deve essere effettuata nel rispetto non solo dell’art. 66, di cui si è già  detto, ma anche nel rispetto dell’art. 161 c.p.p. .

Ciò, significa che, seguendo quanto disposto dal citato art. 161, durante l’identificazione,  la P.G. deve invitare l’indagato a dichiarare o eleggere il domicilio.  Ovviamente, questo adempimento sarà  obbligatorio solo nel caso in cui,  in precedenza, l’indagato non abbia ancora dichiarato o eletto il proprio domicilio. Tale  circostanza si verificherà   quando l’identificazione costituisce  il primo atto di indagine, ovvero quando consegue ad altri atti di indagine ma in precedenza l’indagato non ha  dichiarato o eletto il domicilio.

L’invito a dichiarare o eleggere il domicilio deve essere completato con l’ulteriore avviso  rivolto  allo stesso indagato,  con il quale la P.G. gli  precisa  che ha l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che,  qualora ometta tale comunicazione ovvero si rifiuti di dichiarare o eleggere il domicilio, le notificazioni gli saranno effettuate mediante consegna di copia degli atti al difensore (di fiducia se nominato, ovvero a quello di ufficio).

 

  1. Riepilogo delle procedure previste dalla prima modalità di identificazione dell’indagato.

Dopo avere esaminato   tutte le previsioni  normative  riportate nei due precedenti paragrafi, volendo fare una reductio ad unitatem di quanto in essi detto,  si può dire che dal combinato disposto normativo derivante dagli artt. 66, 161 e  349 c.p.p. e dall’art. 21 disp. att. c.p.p. ne deriva che la prima modalità identificativa  dell’indagato deve essere eseguita con la seguente  procedura:

  • invito a dichiarare le proprie generalità;
  • ammonizione circa le conseguenze cui si espone l’indagato nel caso in cui rifiuti di farsi identificare, ovvero fornisca generalità o documenti falsi;
  • invito a fornire tutte le indicazioni personali previste dall’art. 21 disp. att. c.p.p.;
  • invito a dichiarare o eleggere il domicilio, con l’avviso che, in caso di rifiuto o mancata comunicazione del mutamento del domiclio (dichiarato o eletto), la notifica degli atti procedimentali sarà effettuata al difensore.

In definitiva, si può dire che questa prima modalità procedurale di identificazione dell’indagato comprende tutte le attività volte ad acquisire da quest’ultimo le informazioni in grado di garantire,  con assoluta certezza, che la sua identità fisica coincida con quella anagrafica.

Tuttavia, si tratta sempre di informazioni che vengono acquisite dalle stesse dichiarazioni  rese dall’indagato e che pertanto potrebbero anche non essere veritiere.

Per tale ultima ragione, il legislatore prevede la possibilità di adire ad una seconda modalità  dell’ identificazione, in cui le informazioni sull’identità dell’indagato non vengono acquisite dalle dichiarazioni rese da quest’ultimo, bensì da alcuni accertamenti di carattere oggettivo cui l’indagato viene sottoposto e che, per il loro carattere di oggettività, sono in grado di fornire informazioni incontestabili e certe sull’identità fisica dell’indagato.

 

  1. Seconda modalità di identificazione dell’indagato.

Come già detto nei  precedenti paragrafi, questa seconda modalità di identificazione comporta la sottoposizione dell’indagato a rilievi segnaletici e ad accertamenti tecnici, che, sul piano prettamente  logistico,  non possono che essere eseguiti presso l’ufficio della P.G. procedente.

Si deve  subito  ribadire che questa seconda modalità identificativa è solo eventuale e non necessaria.

Più precisamente, l’art. 349, commi 2,  stabilisce che “ove occorra”,  l’indagato potrà essere sottoposto ai rilievi dattiloscopici, fotografici ed antropometrici, ovvero ad altri accertamenti (non ben specificati),  tra i quali  comunque  il  successivo  comma 2 bis include anche il prelievo di capelli o della saliva.

E’ evidente che il citato comma 2, con l’uso dell’inciso “ove occorra”,  mette in risalto che i predetti rilievi ed accertamenti sono solo eventuali e non necessari. Ne consegue che ad essi si deve ricorrere solo quando la prima  modalità procedurale di identificazione non sia andata a buon fine, perché non è stata conseguita in alcun modo l’identificazione, ovvero perché le informazioni e/o i documenti forniti dall’indagato sulla sua identità non sembrano essere del tutto conducenti per  una sua compiuta identificazione.  Solo in presenza di tali  circostanze è possibile  ricorrere ai rilievi segnaletici ed agli altri accertamenti prevsiti da  commi 2 e 2 bis sopra citati.

Atteso che il predetto comma 2 dell’art. 349 c.p.p. parla espressamente  di rilievi e di accertamenti, è importante capire la differenza sottesa all’espletamento di queste  due diverse  operazioni da parte della P.G. . Evidentemente, si tratta di una differenza non solo di carattere terminologico, ma anche di sostanza.

Infatti, i rilievi (dattiloscopici, fotografici ed antropometrici) si caratterizzano per il loro aspetto di assoluta oggettività, in quanto  si limitano a riprendere e cristallizzare la realtà fenomenica così come essa si presenta agli occhi degli operatori che la rilevano (polizia giudiziaria, ovvero ausiliari di P.G.).

Gli accertamenti, (comprensivi anche del prelievo die capelli e della saliva) sono,  invece,  connotati da un certo margine di discrezionalità da parte dell’operatore che li esegue. Infatti, con gli accertamenti lo stesso  dato fenomenico (raccolto per mezzo dei rilievi)  viene studiato, avvalendosi delle cognizioni derivanti da leggi scientifiche e tecniche. Ciò, necessariamente,  comporterà un certo margine di discrezionalità  in capo a chi esegue tale accertamento, derivante  sia dalla  possibilità di scegliere, per la valutazione del dato storico, un certo criterio tecnico-scientifico anziché un altro, sia dall’interpretazione – necessariamente personale (e quindi diversa l’una dall’altra) – dei risultati   che emergono dall’applicazione del criterio tecnico-scientifico prescelto.

Ebbene, avendo chiara questa differenza tra rilievi ed accertamenti, non resta che esaminare partitamente queste due operazioni.

Per quanto attiene ai  rilievi segnaletici non c’è molto da dire,  trattandosi di un’operazione di polizia giudziaria di carattere quasi  manuale. E‘ importante, però,  sottolineare la necessità che dell’espletamento di tali rilievi sia redatto un apposito verbale, nel quale si dovranno riportare le modalità ed il luogo di esecuzione di tali rilievi, il personale di P.G. ovvero gli ausiliari di P.G. che vi hanno provveduto, i risultati cui si è pervenuti, nonchè tutti gli altri elementi previsti dal sopra citato art. 137 c.p.p. per un qualsiasi altro verbale procedurale.

Mentre, particolare attenzione si deve prestare a quegli accertamenti tecnici che il citato comma 2 bis dell’art. 349 c.p.p. qualifica come prelievo di capelli e della saliva.

Si tratta di un prelievo finalizzato allo studio   dei campioni di materia biologica prelevati dalla persona identificanda,  mediante tecniche scientifiche con cui si cercherà  di individuare il tratto  caratteristico ed irripetibile  (D.N.A.) del soggetto sottoposto ad identificazione .

Gli accertamenti previsti dal citato comma 2 bis meritano particolare attenzione  non solo per il carattere di discrezionalità tecnico-scientifica sotteso alla loro esplicazione (di cui si è già sopra trattato), ma anche perchè la loro  esecuzione  coinvolge profili di tutela di diritti costituzionalmente garantiti, quali  la libertà personale (art. 13 Cost.) ed il diritto alla salute (art. 32 Cost.), inteso quest’ultimo nel suo corollario di diritto all’incolumità ed integrità fisica.

Infatti, appare del tutto evidente come il prelievo di saliva e di capelli  si traduca,  dal punto di vista prettamente giuridico, in un atto di menomazione della libertà personale e dell’integrità  fisica della persona identificata, in quanto comporta il prelievo di parti del corpo umano e cioè di elementi che sono tutelati quali   diritti fondamentali della persona umana.

Per tale ragione, il comma 2 bis subordina l’espletamento di tale accertamento  al rispetto di un minimo di garanzie difensive, consistenti nell’obbligo di acquisire il preventivo consenso dello stesso indagato ovvero,  in mancanza di tale consenso,  nell’obbligo di ottenere la preventiva autorizzazione del Pubblico Ministero.

E’ bene precisare, subito,  che l’autorizzazione del P.M. deve intervenire sempre  in via preventiva e per iscritto. Tuttavia, atteso che tale accertamento interviene, quasi sempre, in via di urgenza, il comma 2 bis in esame prevede la possibilità che tale autorizzazione, in via di emergenza, possa essere  resa anche  oralmente dal P.M., purchè in seguito  sia confermata per iscritto.

Nonostante che la norma de qua abiliti la P.G. ad eseguire prontamente  questo accertamento,  con una semplice autorizzazione orale del P.M., tuttavia,   è  opportuno che la P.G. procedente, eseguendo tale accertamento, dia contezza nel verbale di identificazione dell’intervenuta autorizzazione orale  del P.M.,  indicando il nome del magistrato di turno, l’ora, il giorno   e l’utenza telefonica con cui  ha ricevuto tale autorizzizone. Ciò, al fine di lasciare una traccia scritta dell’autorizzazione verbale del P.M., in attesa che pervenga l’autorizzazione in forma scritta.

Trattandosi di un accertamento di carattere tecnico (anche se ripetibile), è comunque  necessario che  siano formati più  campioni della saliva e dei capelli prelevati e che gli stessi  campioni siano appositamente sigillati  con tutti gli accorgimenti necessari per garantirli da ogni eventuale manomissione ed adulterazione. Inoltre, la P.G. deve indicare, facendone menzione nell’apposito verbale, alla persona sottoposta a tale prelievo  l’Autorità e/o l’ufficio cui  vengono inviati i campioni prelevati per le conseguenti analisi.

Di tutte le operazoni di prelievo di capelli e/o della saliva  deve essere redatto apposito verbale nel quale è anche opportuno ricordare che coloro che provvederanno alle analisi dovranno comunicare  all’interessato (cioè all’indagato) il luogo, la data e l’ora in cui si inizieranno  le operazioni di analisi.

Con tali accorgimenti, si eviterà di incorrere nell’eccezioni di violazione dei diritti di difesa, nonché in quella più ricorrente con cui viene sostenuta la mancanza di certezza circa la genuinità dei campioni prelevati.