Rifiuto di sottoporsi agli accertamenti etilometrici: gli “indicatori” della particolare tenuità del fatto

Rifiuto di sottoporsi agli accertamenti etilometrici: gli “indicatori” della particolare tenuità del fatto

Per approfondire il tema dell’applicabilità dell’istituto della particolare tenuità alla guida in stato di ebbrezza, con particolare riferimento al rifiuto di sottoporsi all’esame alcolemico,  risulta necessario richiamare l’analisi della pronuncia delle Sezioni Unite del 2016, la n. 13682 (Coccimiglio) relativa a questioni sollevate con l’ ordinanza di rimessione n°49825/15 del 3 dicembre 2015 ed inerente la possibilità di applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) alle fattispecie contravvenzionali previste dal Codice della Strada nonché dall’art. 186, comma 7.

Nello specifico, quindi, per quanto riguarda il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, l’ordinanza di rimessione – sempre della Quarta Sezione Penale – si era posta in contrasto con un’altra sentenza di legittimità (Cass. Sez. IV, sent. 1 luglio 2015, n. 33821, imp. Pasolini) – pronunciata, ancora una volta, dalla medesima Sezione – che aveva ritenuto la compatibilità del nuovo istituto con il reato di cui all’art. 186, comma VII, Codice della Strada

La succitata sentenza n.13682/2016 si pone sulla stessa scia della sentenza n. 13681/2016 seppur con particolare riguardo al caso specifico del rifiuto di sottoporsi agli accertamenti etilometrici.

Anche in questo caso, infatti, le sezioni Unite precisano che il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori:

  • le modalità della condotta,
  • l’esiguità del danno o del pericolo,
  • il grado della colpevolezza.

La particolare tenuità del fatto non si interessa della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena. Insomma, si è qui entro la distinzione tra fatto legale, tipico, e fatto storico, situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretamente realizzati dall’agente; secondo l’insegnamento espresso nella pagina fondativa del fatto nella teoria generale del reato. Ed è chiaro che la particolare tenuità del fatto intende per l’appunto riferirsi alla connotazione storica della condotta, essendo in questione non la conformità al tipo, bensì l’entità del suo complessivo disvalore. Allora, essendo in considerazione la caratterizzazione del fatto storico nella sua interezza, non si ha tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione della modalità della condotta; ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l’applicazione dell’istituto della particolare tenuità

Sostanzialmente le Sezioni Unite ribadiscono la necessità di prendere in esame i fatti e le relative valutazioni al fine di verificare se possa ritenersi concretata la fattispecie legale di speciale tenuità. Pertanto, emergendo che l’imputato, fermato dai Carabinieri, mostrò immediatamente i sintomi di un grave stato di alterazione alcoolica: forte alito vinoso, difficoltà di espressione, eloquio sconnesso, difficoltà di coordinamento dei movimenti, stato confusionale, equilibrio precario, andatura barcollante, egli venne sottoposto al test qualitativo preliminare che ebbe esito positivo e rifiutò di sottoporsi all’alcoltest. Tali dati, valutati alla stregua dei criteri previsti dalla legge, consentono di escludere che sia ravvisabile un fatto specialmente tenue: il rifiuto è stato deliberato e motivato dall’esito dell’indagine preliminare; e d’altra parte lo stato d’alterazione era tanto marcato da consentire agevoli deduzioni sulla pericolosità della condotta di guida.

Sulla stessa linea si pone la decisione della Corte nella sentenza n.58 dell’ 11/12/219 laddove esaminati tutti i motivi del ricorso viene esclusa la tenuità del fatto e dunque l’esimente invocata dell’art.131 bis c.p., in considerazione delle condizioni di tempo (orario notturno) e di luogo (nei pressi di un centro abitato) in cui era avvenuto il sinistro, nonché l’atteggiamento non collaborativo tenuto dal trasgressore nel corso delle indagini preliminari.

Occorre altresì esporre, , seppur non condivisibile, la tesi contraria circa l’applicabilità dell’istituto della particolare tenuità del fatto. Secondo tale orientamento, la natura istantanea del reato di cui all’art. 186, co VII, c.p., per cui esso viene integrato dal mero rifiuto del conducente a sottoporsi all’alcoltest, andrebbe a pregiudicare immediatamente i beni giuridici protetti, ovverosia la regolarità  della circolazione e della sicurezza stradale, in palese violazione della ratio dell’istituto. Tale circostanza non consentirebbe, quindi, una graduazione di offensività ex art. 131 bis c.p. D’altronde, secondo i fautori di tale indirizzo, la valutazione di maggiore o minore pericolosità sarebbe già stata effettuata dal legislatore, con la previsione del limite tra la rilevanza penale e quella amministrativa. Infine, non sarebbe neppure possibile avanzare un’analisi del co. VII senza dapprima porre l’attenzione sul co. II. Ed invero, quest’ultimo prevede la configurabilità di un illecito amministrativo nelle ipotesi di guida in stato di ebrezza con quantità di alcool nel sangue compresa tra gli 0,5 e gli 0,8 g/l, comportando una sicura applicazione della sanzione. Diversamente, coloro che fossero sorpresi alla guida con un tasso alcolemico inferiore, seppur penalmente rilevante, potrebbero godere della “non punibilità”, così evidenziando una disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost.

Possiamo quindi concludere, sostenendo, che ai fini dell’apprezzamento circa l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., occorre accertare che il fatto illecito non abbia generato un contesto concretamente e significativamente pericoloso con riguardo ai beni della vita e dell’integrità personale.

Il giudizio sulla tenuità del fatto richiede, dunque, una valutazione complessa in relazione alle modalità della condotta e all’esiguità del danno o del pericolo e richiede una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità del caso concreto.

Una volta accertata la situazione pericolosa tipica e l’offesa ad essa sottesa, resta sempre uno spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato e al solo fine della ponderazione in ordine alla gravità dell’illecito, quale sia lo sfondo fattuale nel quale la condotta si inserisce e, di conseguenza, il concreto possibile impatto pregiudizievole.

La clausola di non punibilità ex art. 131-bis c.p., dunque, lungi dal doversi ricondurre alla “inoffensività” del fatto, attiene piuttosto ad una dimensione minima dell’offesa nel quadro di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole nonché ai principi generalissimi di proporzione e di economia processuale che, come si evince nella relazione illustrativa che accompagna la bozza del decreto legislativo istitutivo, hanno piena ed effettiva “dignità costituzionale”.

Dunque sarà l’Autorità giudiziaria a stabilire, entro i parametri dettati dall’art. 131 bis cp, cosa è offensivo in concreto e va punito e cosa deve andare esente da responsabilità perché irrilevante. Fino all’introduzione dell’articolo 131 bis c.p., lo strumento giuridico utilizzato per non punire l’offesa irrilevante è stato l’art. 49 comma 2 cp ovverosia il reato impossibile inteso come reato privo di offensività del fatto. L’istituto della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non potrà non incidere proprio sul menzionato art. 49 cp, riducendone l’estensione applicativa, visto che spesso è stato utilizzato in situazioni che ora, ovviamente, rientrano a pieno titolo nell’art. 131 bis cp.