PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

Il procedimento amministrativo, nell’ordinamento giuridico italiano, è una sequenza ordinata di atti finalizzata all’emanazione di un provvedimento amministrativo.

Esso definisce l’azione dell’amministrazione pubblica nel perseguimento del pubblico interesse e la vincola al rispetto di regole preordinate, caratteristica generale dei moderni ordinamenti, ed è supervisionato dal responsabile del procedimento amministrativo. Da non confondersi con il processo amministrativo, che è invece il procedimento giurisdizionale per controversie di diritto amministrativo

Il procedimento amministrativo si configura come una serie di atti tramite i quali la pubblica amministrazione provvede a definire e manifestare la propria volontà, ovvero a produrre gli effetti giuridici propri di una determinata fattispecie. A livello definitorio, possiamo dire che, affinché un atto amministrativo sia perfetto ed efficace, esso deve essere emanato dopo avere seguito un particolare iter, comprendente più atti e operazioni, che, nel loro complesso prendono il nome di procedimento amministrativo.

Il procedimento amministrativo può essere definito come la forma della funzione, ovvero il tramite, attraverso una serie coordinata di attività ed atti procedimentali, tra due situazioni statiche: il potere (momento iniziale dell’attribuzione) e il provvedimento (momento finale della produzione).

È impossibile immaginare un’attività o un’azione amministrativa senza “procedimento”; esso garantisce la corretta formazione della volontà della PA e il rispetto dei principi, sanciti all’art. 97 della Costituzione, di legalità, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione.

Principi giurisprudenziali comuni ai procedimenti

Esiste una serie di principi comuni a tutti i tipi di procedimento amministrativo elaborati dal giudice amministrativo. Essi sono:

  1. Necessarietà, la mancanza del procedimento comporta l’annullabilità dell’esercizio dell’attività.
  2. Esatta e completaindividuazione dei fatti e degli interessi; l’amministrazione deve valutare gli interessi su cui la decisione andrà ad influire, nel caso i fatti assunti alla base della decisione siano infondati, il procedimento è illegittimo.
  3. Congruità, coerenza, logicitàragionevolezza con il presupposto, ovvero ci deve essere corrispondenza tra le premesse che hanno mosso l’amministrazione e le sue conseguenze.
  4. Imparzialità, ha radici nell’art. 97 della costituzione
  5. Conoscibilità
  6. Proporzionalità, la scelta dell’amministrazione deve comportare il minor sacrificio possibile sia per le finanze pubbliche che per l’eventuale lesione di diritti o interessi privati.

I principi dell’attività amministrativa

Per discutere adeguatamente del procedimento amministrativo è importante fare anche luce su una serie di elementi e principi correlati alle attività amministrative.

La norma fondamentale in materia di organizzazione dell’azione amministrativa risiede nell’art. 97 della Costituzione, il quale afferma che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

Tale disposizione viene riassunta in dottrina e in giurisprudenza nel criterio supremo della ragionevolezza dell’azione amministrativa. L’articolo 97 si indirizza immediatamente e programmaticamente al legislatore.

La legge 241/1990, nel dettare le regole del procedimento amministrativo, fa propri i principi costituzionali di buon andamento e imparzialità e vi aggiunge gli ulteriori criteri della economicità, efficacia, efficienza, imparzialità, pubblicità, trasparenza.

Infatti, recita l’art. 1 al comma 1:

«l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario.»

 

Atti giuridici della Pubblica Amministrazione

Come detto, il procedimento è funzionale alla determinazione della volontà e degli atti della Pubblica Amministrazione, affinché un atto amministrativo (o un provvedimento, che è una sottospecie di atto), deve di regola essere emanato a seguito di un particolare iter comprendente più atti giuridici, che, nel loro complesso prendono il nome di procedimento amministrativo. La validità di ogni atto del procedimento è condizionata dalla efficacia di quelli che lo devono precedere, e, cioè, dei presupposti (su questo v. F. Ancora, L’individuazione dell’atto amministrativo presupposto, in Giurisdizione amministrativa, 2009, n. 9). Si ricorda come gli atti giuridici posti in essere dalla Pubblica Amministrazione possono essere:

  1. atti di diritto pubblico, posti in essere secondo i principi e le forme del diritto pubblico; in questo caso la Pubblica Amministrazione agisce come organo pubblico, dotato anche di poteri di imperio e si pone su un piano di supremazia rispetto ai destinatari dei propri atti; quando la Pubblica Amministrazione emette degli atti seguendo le norme di diritto pubblico, i privati sono tenuti ad assoggettarsi, ma, qualora tale assoggettamento non avvenisse spontaneamente, la Pubblica Amministrazione potrà utilizzare la forza pubblica per dare esecuzione alle proprie situazioni manu militari. Se il privato ritenesse leso il proprio diritto potrà ricorrere al Tribunale amministrativo regionale per farlo valere, ma potrà anche invitare l’amministrazione ad agire in autotutela, che sarà libera di modificare o revocare l’atto, accogliendo la segnalazione del privato su violazioni di legge o regolamento.
  2. atti di diritto privato, posti in essere dalla PA allorquando agisca secondo le norme civili, ponendo in essere negozi di diritto privato. La PA si troverà così su un piano di parità rispetto agli altri soggetti privati dell’ordinamento.

Negli ultimi anni si è andato affermando il principio tendenziale che guarda con favore al superamento del vecchio dogma che attribuiva alla Pubblica Amministrazione, in generale, il dovere di agire mediante poteri di imperio.

Tale orientamento è stato consacrato con la Legge 15/2005, che ha aggiunto il comma 1-bis all’art. 1 della legge 241/1990 sancendo il principio generale secondo cui le amministrazioni pubbliche nell’adozione di atti di natura non autoritativa agiscono secondo le norme del diritto privato; tale disposizione è riferita all’intera azione amministrativa.

L’impressione generale è comunque, secondo il Napolitano, che

«il diritto privato (…) possa diventare effettivamente il principio ordinatore dell’azione amministrativa, soltanto laddove si riescano a contemperare le esigenze di flessibilità e di parità con i caratteri essenziali del necessario regime funzionale dell’amministrazione.»

 

Procedimento amministrativo e diritto di accesso

Il procedimento amministrativo è regolato principalmente dalla legge 241/1990, che ne stabilisce i principi, anche in accordo agli orientamenti europei circa il cosiddetto “giusto procedimento”. È evidente come da tale normativa vengano comunque coperti gli aspetti principali del procedimento.

Già al capo primo sono diversi i principi richiamati. L’articolo 1 fa riferimento ai fini perseguiti dall’azione amministrativa – che devono essere quelli determinati dalla legge (cfr. art. 97 Cost.). Inoltre si aggiunge che l’azione amministrativa è retta dai criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità, trasparenza secondo le disposizioni di legge e i principi dell’ordinamento comunitario. Sempre all’art. 1 viene inserito un chiaro riferimento all’utilizzo degli strumenti negoziali da parte dell’autorità amministrativa allorché adotti atti di natura non autoritativa, salvo che la legge disponga diversamente; ciò deve comunque sempre avvenire nel rispetto dell’interesse pubblico e dei fini istituzionali dell’amministrazione. Con tale norma si è semplicemente presupposto che lo strumento negoziale privato possa meglio conciliare gli interessi pubblici con la tutela di quelli privati, o col loro minor sacrificio.

Altro principio espressamente citato è il divieto di aggravamento del procedimento:

esso, a tutela dell’economicità e dell’efficacia dei procedimenti, nonché del minor sacrificio possibile degli interessi dei privati, fa divieto all’amministrazione, se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria, di aggravare il procedimento (nel senso di aggiungere controlli, ispezioni, richieste di documenti, e quant’altro possa rendere più oneroso il procedimento per l’amministrazione e il privato senza un concreto motivo di interesse pubblico).

Altro punto ormai consolidato del procedimento amministrativo riguarda i tempi di conclusione del procedimento e il dovere di conclusione con provvedimento espresso. Tali principi obbligano la pubblica amministrazione a concludere in maniera esplicita i procedimenti – sia quelli iniziati ad istanza di parte, sia quelli iniziati d’ufficio – in modo da conferire “certezza” al suo operato e un tempo limite cui il privato possa fare affidamento per eventuali iniziative avverso il silenzio dell’amministrazione.

Elementi e principi del procedimento

Per lungo tempo il procedimento amministrativo è stato argomento di acceso dibattito, a causa della mancanza di una disciplina generale, sempre valevole, salvo eccezioni. Il problema – almeno questo – è stato risolto definitivamente con l’entrata in vigore della legge 241/1990, successivamente novellata dalla legge 15/2005 e dalla legge 80/2005. La normativa in parola, in armonia con l’art. 97 della Costituzione, fissa regole generali ispirate ai seguenti principi:

  1. principio del giusto procedimento, comprendente il diritto di partecipazione degli interessati, l’identificazione preventiva dell’ufficio e del responsabile del procedimento e il diritto di accesso degli interessati ai documenti
  2. principio di semplificazione, volto a snellire e rendere più celere il procedimento.

Fasi del procedimento

La struttura del procedimento varia secondo l’organo competente ad emanare l’atto terminale, la forma di quest’ultimo, il potere che viene esercitato ecc. Si può però articolare la sequenza di atti e operazioni in alcune fasi, riscontrabili nella generalità dei casi:

  1. fase dell’iniziativa;
  2. fase istruttoria;
  3. fase costitutiva;
  4. fase integrativa dell’efficacia.

1) La fase dell’iniziativa è quella in cui viene avviato il procedimento. L’avvio può essere deciso dallo stesso organo competente ad adottare l’atto terminale (avvio d’ufficio) o essere conseguenza di un atto d’impulso, che può provenire da un privato (istanza) o da un altro organo pubblico (richiesta, detta proposta quando, oltre a chiedere l’avvio del procedimento, indica anche il contenuto del suo atto terminale).

2) La fase istruttoria comprende le attività volte alla ricognizione e alla valutazione degli elementi rilevanti per la decisione finale. È questa la fase che presenta maggior variabilità secondo la natura del procedimento.

Nella fase istruttoria l’organo competente (detto organo attivo) può acquisire il giudizio di un altro organo, di solito collegiale (detto organo consultivo), per decidere con cognizione di causa. L’atto con il quale viene manifestato tale giudizio è detto “parere”, che può essere:

  1. parere facoltativo, se l’organo attivo non è tenuto a chiederlo;
  2. parere obbligatorio, se l’organo attivo è tenuto a chiederlo ma non a decidere in conformità ad esso;
  3. parere vincolante, se l’organo attivo è tenuto a chiederlo e a decidere in conformità ad esso.

3) La fase costitutiva (detta anche fase deliberatoria o decisoria) è quella in cui l’organo competente, sulla base delle risultanze dell’istruttoria, assume la sua decisione e adotta l’atto terminale. Quest’ultimo, al termine della fase costitutiva, è perfetto, ma non necessariamente efficace, ossia in grado di produrre i suoi effetti. L’atto che conclude il procedimento può non avere natura di provvedimento.

4) La fase integrativa dellefficacia comprende gli eventuali atti e operazioni, successivi all’adozione dell’atto terminale, necessari affinché questo divenga efficace.

Rientrano in questa fase, tra gli altri:

  1. la comunicazione o pubblicazione, in varie forme, dell’atto, quando questo è recettizio, ossia quando la sua efficacia è condizionata alla conoscenza da parte del destinatario;
  2. i controlli preventivi nel corso dei quali un organo diverso da quello attivo (detto organo di controllo) verifica la conformità dell’atto all’ordinamento (controllo di legittimità) o la sua opportunità (controllo di merito); l’esito positivo di tale verifica è condizione necessaria affinché l’atto possa divenire efficace;
  3. l’esecuzione forzata del provvedimento, anche avvalendosi della forza pubblica, qualora uno o più privati non vi ottemperino

Non costituiscono, invece, una fase del procedimento ma, semmai, un procedimento a sé i controlli successivi. Anch’essi possono essere di legittimità o di merito ma, in questo caso, l’esito positivo della verifica non condiziona l’efficacia dell’atto mentre, sulla base dell’esito negativo, può essere adottato un provvedimento di rimozione dell’atto stesso (annullamento) o dei suoi effetti (revoca).

Termini

Il termine del procedimento, per le amministrazioni statali, ove non sia già indicato dalla legge, è stabilito con decreto del presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente e sentito il Ministro della funzione pubblica. In mancanza il termine è fissato dalla legge 241/1990, come modificata dalla legge 69/18 giugno 2009, in 30 giorni.

Tale termine può essere sospeso per l’acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, ma per un periodo massimo comunque non superiore a ulteriori 30 giorni. I termini del procedimento, inoltre, possono essere sospesi, per una sola volta, ove l’amministrazione debba acquisire informazioni e certificazioni inerenti a stati e qualità non attestati in documenti in suo possesso e non direttamente acquisibili presso altre amministrazioni. Scaduti i termini, ove l’amministrazione risulti inadempiente o non concluda il procedimento, salvi i casi di silenzio-assenso, gli interessati – finché perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno – possono presentare ricorso avverso il silenzio, anche senza necessità di diffida. Il giudice amministrativo conosce della fondatezza dell’istanza ed è fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.

La partecipazione procedimentale

Una recente sentenza del Consiglio di Stato (la n. 7972/2020, riguardante TimVivendi e Consob) ha ribadito l’importanza della partecipazione alla fase di istruttoria di tutte le parti la cui sfera giuridica sarebbe intaccata dal provvedimento (la cosiddetta “partecipazione procedimentale”); in caso di atti che agiscono sulla sfera giuridica di una categoria di soggetti, è invece necessaria la cosiddetta consultazione pubblica. In linea generale, la giurisprudenza amministrativa, in virtù dell’art. 21-octies della legge 241/1990, non considera in linea generale invalidante l’assenza di una fase di consultazione (“dequotazione della legalità procedimentale”).[1]

Diverso è il caso degli atti emanati da autorità amministrative indipendenti le quali, pur essendo enti pubblici, possiedono la capacità di emanare atti amministrativi qualificabili come leggi e afferenti agli ambiti propri di ciascuna autorità amministrativa indipendente e questo cozza con il principio di legalità, secondo cui le leggi possono essere emanate solo dagli organi costituzionali della Repubblica Italiana. La giurisprudenza ha chiarito la liceità di tale eccezione al principio di legalità (esplicitamente sancito dalla Costituzione della Repubblica Italiana), dal momento che la legge non è in grado di andare in profondità su certi temi troppo specialistici, nei quali invece le autorità amministrative indipendenti possiedono maggiore specializzazione e competenza. È però richiesto il pieno rispetto della partecipazione di tutte le parti la cui sfera giuridica è interessata dal procedimento (siano esse organismi collettivi o singoli soggetti). Data la necessità di fornire delle garanzie di copertura, ancorché incompleta, del principio costituzionale di legalità, la mancata completa attuazione della partecipazione procedimentale può portare, secondo le previsioni della sentenza del Consiglio di Stato n. 7972/2020, persino all’annullamento di un atto (autoritativo, sanzionatorio o anche meramente dichiarativo purché abbia un qualche impatto sulla sfera giuridica altrui) di un’autorità amministrativa indipendente inerente a un regolamento “qualificabile come legge” dalla stessa emanato.[2]

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NOTE

 07972/2020       /14/12/2020

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente sentenza

sul ricorso proposto da Telecom Italia s.p.a.,

contro

Commissione nazionale per le società e a Borsa (Consob), in persona del Presidente pro tempore,

nei confronti

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore,

Vivendi Société Anonyme, non costituita in giudizio;

sul ricorso………proposto da Vivendi
Société Anonyme,

contro

Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), in persona del Presidente pro tempore,

nei confronti

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore,

Telecom Italia s.p.a., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza 17 aprile 2019, n. 4990 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda

 

DIRITTO

1.˗ La questione all’esame della Sezione attiene alla legittimità della determinazione settembre 2017, n. 106341 della Consob, che ha qualificato il rapporto partecipativo di Vivendi in Telecom in termini di controllo di fatto ai sensi dell’art. 2359 cod. civ., dell’art. 93 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nonché della disciplina in materia di operazioni con parti correlate di cui al Regolamento Consob adottato con delibera 12 marzo 2010, n. 17221 (“Regolamento o.p.c. ”).

2.˗ Con un primo motivo le appellanti hanno dedotto l’erroneità della sentenza e l’illegittimità della determinazione impugnata per violazione del principio di legalità dell’azione amministrativa. In particolare, si è affermato che: i) non esisterebbe «alcuna norma (né di fonte primaria né di fonte secondaria) che conferisca a Consob il potere di accertare unilateralmente la sussistenza di una fattispecie di controllo civilistico nei rapporti intercorrenti tra i soci»; ii) il fondamento legale non potrebbe ricondursi, come rilevato dal primo giudice, al potere che la legge attribuisce alla Consob in materia di parti correlate, in quanto, oltre al fatto che, nella specie, sarebbe stato esercitato un potere di qualificazione del rapporto di controllo anche ai sensi del codice civile, si tratterebbe di «poteri tipici di cui la Consob» è titolare ma che «non ha esercitato nel caso di specie»; ii) il fondamento del suddetto potere non potrebbe neanche rinvenirsi nelle altre disposizioni di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 (in particolare, art. 120), all’art. 2391-bis cod. civ. e al “Regolamento operazione parti correlate (o.p.c.), in quanto ciascuna norma contempla una nozione differente di controllo a seconda dei settori di riferimento; iii) non sarebbe consentito dal sistema che la Consob eserciti un potere di qualificazione astratto e fine a sé stesso, non potendosi ammettere un “dovere di accertamento” nell’ambito della funzione di vigilanza.

Con un secondo motivo è stata dedotta l’erroneità della sentenza e della determinazione impugnata per la violazione delle regole sulla partecipazione al procedimento, non essendo stati coinvolti non solo le parti interessate ma anche, ai sensi dell’art. 23 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 e dell’art. 5 del Regolamento concernente i procedimenti per l’adozione di atti di regolazione generale ai sensi del suddetto art. 23, gli organismi rappresentativi dei soggetti vigilanti. Tale coinvolgimento sarebbe stato necessario anche perché la Consob avrebbe fornito, in precedenti determinazioni, una nozione di controllo civilistico diversa da quella fatta propria con il provvedimento impugnato. Si sostiene, inoltre, che non sarebbe sufficiente, come erroneamente sostenuto dal primo giudice, l’avvenuto coinvolgimento nelle attività continue di monitoraggio, non essendosi trattato di strumenti di partecipazione consapevoli e finalizzati all’adozione di specifici provvedimenti.

3.˗ I motivi, nei sensi e limiti di seguito indicati, sono fondati.

3.1.˗ Su un piano generale, il principio di legalità dell’azione amministrativa implica che la legge indichi lo scopo di interesse pubblico che la pubblica amministrazione deve perseguire (cd. legalità-indirizzo) e stabilisca le condizioni e le modalità di esercizio del potere (cd. legalità garanzia).

Sul piano dello scopo da perseguire, la legalità ha un fondamento costituzionale nel principio democratico (art. 1 Cost.), il quale impone che sia il Parlamento a determinare le finalità di interesse pubblico che fanno capo alla comunità di cittadini e che devono essere perseguiti dalla pubblica amministrazione.

Sul piano delle garanzie, la legalità ha un fondamento costituzionale in diversi principi (artt. 1, 23, 42, 97 Cost.) e una connotazione differente a seconda della tipologia di potere che viene posto in essere.

Nel diritto amministrativo mancano norme che definiscano quelli che, mutuando una espressione penalistica, sono i cosiddetti corollari della legalità. La dottrina e la giurisprudenza li identificano, per i provvedimenti amministrativi, nella nominatività e tipicità. Il significato della nominatività è agevole, in quanto esso implica che il provvedimento sia “nominato” e, dunque, contemplato dalla norma. Il significato della tipicità è più complesso e impone un livello, più o meno intenso a seconda del potere esercitato, di previsione delle condizioni e delle modalità di esercizio del potere stesso. Si passa da una predeterminazione completa per i provvedimenti che hanno natura vincolata ad una predeterminazione minima per gli atti politici in senso lato che devono rispettare soltanto i principi e le regole generali posti dalle norme attributive del potere.

In presenza di provvedimenti restrittivi o sfavorevoli, che sono quelli che rilevano in questa sede, la tipicità deve assolvere pienamente alla funzione di garanzia della sfera giuridica del destinatario dell’attività amministrativa, in quanto è necessario che la legge stabilisca condizioni e modalità di esercizio del potere al fine di assicurare che l’incidenza negativa nella sfera giuridica del privato sia il risultato di una scelta anche legislativa e non solo amministrativa.

Su impulso del diritto europeo e, in particolare, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 7), richiede, quando il provvedimento ha natura sanzionatoria o anche soltanto restrittiva, quali corollari della legalità, che la base giuridica sia accessibile e soprattutto prevedibile. La prevedibilità, secondo l’opzione interpretativa preferibile, deve essere intesa in senso oggettivo, implicando che i destinatari dell’attività amministrativa possano prevedere le conseguenze derivanti dalla eventuale violazione del precetto che vieti determinati comportamenti o che prescriva le modalità di svolgimento di una determinata attività. La tendenza, pertanto, è a richiedere un maggiore livello di sviluppo delle previsioni di legge che regolano i settori interessati da tali tipologie di provvedimenti amministrativi.

3.1.1.˗ La giurisprudenza amministrativa ritiene che il suddetto principio di legalità possa subire adattamenti nella fase applicativa, riconoscendo l’ammissibilità della categoria dei poteri impliciti.

Si tratta di poteri che non sono espressamente contemplati dalla legge ma che si desumono, all’esito di una interpretazione sistematica, dal complesso della disciplina della materia, perché strumentali all’esercizio di altri poteri.

La ragione di questa elaborazione risiede nel fatto che, in alcuni ambiti, è oggettivamente complesso per il legislatore predeterminare quale possa essere, secondo quanto sopra indicato, il contenuto del provvedimento amministrativo.

Nei settori di competenza delle Autorità amministrative indipendenti, la suddetta esigenza si manifesta in presenza di poteri di regolazione, che vengono normalmente esercitati nei settori dei servizi di pubblica utilità e dei mercati finanziari in senso ampio.

Sul piano strutturale essi hanno, in base al loro contenuto, natura normativa o amministrativa generale, nonché, per alcune parti, anche individuale.

La regolazione indipendente, normalmente, ha valenza tecnica ed attiene ad ambiti in costante evoluzione per dinamiche di mercato differenti. E’ dibattuta la questione relativa alla effettiva natura del potere di regolazione e cioè se sussista o meno un “vincolo di tecnicità” con preclusione di svolgere valutazioni di natura discrezionale ovvero se, in ragione della necessità di perseguire l’interesse pubblico relativo allo specifico ambito di competenza, l’Autorità possa effettuare anche tali valutazioni.

La suddetta valenza tecnica impedisce la piena operatività del principio di legalità-garanzia, che assume una valenza debole, non essendo, spesso, possibile assicurare la predeterminazione legislativa delle modalità e del contenuto del potere pubblico.

Sul piano funzionale, gli scopi della previsione di tali poteri dipendono dal settore che viene in rilievo e, in ogni caso, sono riconducibili in senso ampio ai processi di privatizzazione e liberalizzazione delle attività economiche.

La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto necessario rafforzare la legalità procedimentale, la quale assume una valenza forte per “compensare” le mancanze della legalità sostanziale (si v., tra gli altri, Cons. Stato, sesta sezione, 24 maggio 2016, n. 2182).

Il principio della partecipazione procedimentale è un principio generale dell’azione amministrativa che non ha un fondamento costituzionale ma lo acquisisce in taluni ambiti quando esiste una esigenza di rafforzare le forme di protezione delle posizioni soggettive coinvolte dall’esercizio del potere pubblico.

Se, come nel caso in esame, la legalità sostanziale non riesce ad assolvere, per le ragioni indicate, la sua funzione di garanzia, si trasferisce questo compito alla legalità procedimentale.

La partecipazione deve avvenire secondo due differenti modalità.

In primo luogo, in ragione della natura generale del potere, mediante la consultazione pubblica degli organismi rappresentativi degli operatori economici interessati, al fine di contribuire alla migliore definizione delle regole e del loro impatto sulle attività disciplinate.

In secondo luogo, nei soli casi di possibile incidenza nella sfera giuridica specifica di taluni operatori, mediante la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo ai sensi degli artt. 7 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, al fine sia di consentire alle parti interessate di svolgere le proprie difese nel procedimento e prevedere gli assetti finali della determinazione amministrativa sia di contribuire alla definizione del contenuto del provvedimento.

In questo caso, il fondamento della legalità procedimentale risiede nelle medesime norme della Costituzione che proteggono la sfera giuridica del privato mediante l’imposizione di una base legale tipica. La stessa Corte costituzionale ha affermato che in presenza di potere di regolazione delle Autorità indipendenti occorre «valorizzare le forme di legalità procedurale»: in questi casi, «la difficoltà di predeterminare con legge in modo rigoroso i presupposti delle funzioni amministrative attribuite alle Autorità comporterebbe un inevitabile pregiudizio alle esigenze sottese alla riserva di legge, se non fossero quantomeno previste forme di partecipazione degli operatori di settore al procedimento di formazione degli atti». In definitiva, la «declinazione procedurale del principio di legalità», rappresenta «un utile, ancorché parziale, complemento delle garanzie sostanziali» (Corte cost. 7 aprile 2017, n. 69).

Si tenga conto che il rafforzamento delle forme di partecipazione procedimentale evita, inoltre, le aporie di un sistema che, da un lato, richiede una base legale sostanziale forte per i poteri sanzionatori e, dall’altro, in alcuni casi, consente una base legale sostanziale debole per i poteri regolatori impliciti che costituiscono il presupposto della stessa sanzione poi concretamente irrogata. Il rispetto delle regole di partecipazione serve, pertanto, a restituire, almeno in parte, coerenza al sistema, assicurando il recupero delle garanzie e la prevedibilità oggettiva dei possibili sviluppi provvedimentali, nonostante l’opacità della legge sostanziale di disciplina dei poteri regolatori.

E’ bene precisare che la descritta funzione di “compensazione” non comporta un pieno recupero del fondamento democratico della legalità, in ragione della non omogeneità tra predeterminazione legislativa sostanziale delle regole e partecipazione procedimentale, ma assicura un maggiore livello di garanzie per il privato.

La Sezione rileva come sarebbe, invero, opportuno che il legislatore intervenisse a disciplinare, con misure più pregnanti, modulate alla luce della materia regolata, anche i settori di competenza delle Autorità indipendenti per ridurre l’ambito di operatività dei poteri impliciti e assicurare una più certa compatibilità costituzionale.

Nel caso di specie, l’applicazione, come si esporrà oltre, della teoria dei poteri impliciti assume connotati peculiari in quanto viene in rilievo un potere della Consob che non è del tutto riconducibile alle categorie tradizionali.

3.2.˗ Su un piano specifico, le norme di disciplina della materia sono le seguenti.

In relazione alla natura dei poteri, la Consob è titolare, in particolare, di poteri di regolazione, di vigilanza, sanzionatori e di risoluzione alternativa delle controversie.

In relazione al fondamento legale sostanziale dei poteri, occorre richiamare la disciplina dei controlli societari.

L’art. 2359 cod. civ. prevede che sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto l’influenza di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Le prime due forme di controllo definiscono un “controllo interno” attuabile mediante l’esercizio di voti nell’assemblea ordinaria. Si distingue: i) un “controllo interno-di diritto”, che presuppone la disponibilità di voti pari alla maggioranza di quelli esercitabili nell’assemblea ordinaria; ii) un “controllo interno-di fatto”, che presuppone la disponibilità di una quantità di voti sufficiente ad esercitare una influenza dominante.

La terza forma di controllo definisce un “controllo esterno”, che prescinde dal possesso di una partecipazione azionaria ed è determinato da “particolari vincoli contrattuali” che pongono una società nella condizione di subire l’influenza dominante di altra società.

L’art. 2391-bis cod. civ., la cui rubrica reca «operazioni con parti correlate», dispone che «gli organi di amministrazione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio adottano, secondo princìpi generali indicati dalla Consob, regole che assicurano la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate e li rendono noti nella relazione sulla gestione; a tali fini possono farsi assistere da esperti indipendenti, in ragione della natura, del valore o delle caratteristiche dell’operazione».

Il decreto legislativo n. 58 del 1998 contiene norme di disciplina degli specifici poteri di regolazione dei mercati finanziari nel caso in cui si accerti la sussistenza di una posizione di controllo.

Non è possibile, in questa sede, riportare tutte le specifiche competenze.

In particolare, con riguardo alla Parte IV, l’art. 91 dispone che «La Consob esercita i poteri previsti dalla presente parte avendo riguardo alla tutela degli investitori nonché all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali».

L’art. 93 prevede che, ai fini dell’applicazione delle norme della Parte IV relativa alla disciplina degli emittenti, sono considerate imprese controllate, oltre a quelle indicate nel riportato art. 2359, numeri 1 e 2, codice civile, anche: «a) le imprese, italiane o estere, su cui un soggetto ha il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un’influenza dominante, quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole; b) le imprese, italiane o estere, su cui un socio, in base ad accordi con altri soci, dispone da solo di voti sufficienti a esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria». Il Regolamento Consob, parti correlate, di cui all’Allegato 1, dispone, tra l’altro, che un soggetto è parte correlata ad una società se ricorrono determinati requisiti, specificamente previsti (ad esempio: «controlla la società o ne è controllato o è sottoposto a comune controllo»; «detiene una partecipazione nella società tale da poter esercitare un’influenza notevole su quest’ultima»; «esercita il controllo sulla società congiuntamente con altri soggetti»; «è una società collegata della società, è una joint venture di cui la società è una partecipante»).

Viene, inoltre, in rilievo la disciplina relativa a: i) appello al pubblico risparmio (art. 95); ii) comunicazioni al pubblico (art. 115); informativa sui piani di compensi basati su strumenti finanziari (art. 114-bis); trasparenza delle partecipazioni rilevanti (art. 121); informazione nella relazione sul governo societario e gli assetti proprietari (art. 123-bis); informativa sui compensi corrisposti contenuta nella relazione sulla remunerazione (art. 123-ter); definizione di indipendenza dei componenti del collegio sindacale rilevante per eventuali incompatibilità a ricoprire tale carica (art. 148); obblighi di informativa dei consiglieri delegati all’organo di controllo (art. 150); poteri dell’organo di controllo (art. 151).

In relazione al fondamento legale procedimentale del potere, la Consob deve rispettare le norme sulla consultazione pubblica e sulla partecipazione procedimentale, in modo da assicurare il rispetto delle regole del contraddittorio.

Per quanto attiene alla consultazione pubblica, l’art. 23 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 dispone che, tra gli altri: i) i poteri della Consob, «aventi natura regolamentare o di contenuto generale, esclusi quelli attinenti all’organizzazione interna, devono essere motivati con riferimento alle scelte di regolazione e di vigilanza del settore ovvero della materia su cui vertono» (comma 1); ii) tali atti «sono accompagnati da una relazione che ne illustra le conseguenze sulla regolamentazione, sull’attività delle imprese e degli operatori e sugli interessi degli investitori e dei risparmiatori»; «nella definizione del contenuto degli atti di regolazione generale», la Consob tiene conto «in ogni caso del principio di proporzionalità, inteso come criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minore sacrificio degli interessi dei destinatari»; a questo fine, la Consob consulta «gli organismi rappresentativi dei soggetti vigilati, dei prestatori di servizi finanziari e dei consumatori» (comma 2); iii) l’attuazione di tali principi è demandata a regolamenti dell’Autorità (comma 4).

La Consob ha adottato la delibera 5 luglio 2016, n. 19654, la quale, all’art. 5, ha disciplinato le modalità di svolgimento di una consultazione in forma pubblica.

Per quanto attiene alla partecipazione, l’art. 7 della legge n. 241 del 1990 prevede che deve essere data comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti finali.

4.˗ Nella fattispecie concreta in esame, occorre accertare la natura del potere esercitato e il suo fondamento sostanziale e procedimentale.

4.1.˗ In relazione alla natura del potere, deve preliminarmente rilevarsi come la Consob, in primo luogo, ha fornito una interpretazione del concetto di controllo interno di fatto, affermando che l’influenza dominante consiste nella concreta capacità di determinare gli esiti assembleari mediante la concomitanza di una serie di elementi fattuali, quali la frammentazione dell’azionariato, il meccanismo di voti di lista, la prassi degli investitori istituzionali di presentare liste corte di minoranza.

In secondo luogo, la Consob ha ritenuto che il controllo, così come sopra definito, è stato in concreto esercitato da Vivendi nei confronti di Telecom, come risulta dalla circostanza che Vivendi, nella riunione del 13 settembre 2017, è riuscita a nominare la maggioranza dei consiglieri di amministrazione di Telecom (si v. parte in fatto della presente sentenza per maggiori dettagli).

Si è trattato, pertanto, di un potere di accertamento del rapporto di controllo tra le due società, che occorre qualificare giuridicamente.

Nel diritto privato, si ritiene che l’autonomia negoziale giustifichi la configurabilità di negozi di regolazione individuale con funzione dichiarativa. Le parti di un rapporto giuridico possono stipulare, infatti, un negozio di accertamento che, sul piano strutturale, produce efficacia non costitutiva ma meramente dichiarativa. Tale efficacia si risolve in una astrazione processuale, con inversione dell’onere della prova in capo a chi intenda dimostrare che il contenuto del rapporto sia diverso da quello accertato. Sul piano funzionale, lo scopo è di eliminare una situazione giuridica di incertezza nella configurazione del rapporto stesso anche al fine di auto-composizione dei conflitti, evitando, nell’immediato, il ricorso al giudice.

Nel diritto processuale, si può ricorrere all’autorità giudiziaria perché adotti una sentenza di accertamento finalizzata ad eliminare la situazione di incertezza relativa alla effettiva consistenza del rapporto dedotto in giudizio.

Nel diritto amministrativo, la funzione di regolazione del mercato risponde tradizionalmente al modello già esaminato che si caratterizza per avere ad oggetto profili di natura tecnica. La funzione dichiarativa è ritenuta ammissibile ma ad essa la dottrina che ha analizzato tale fenomeno ha ricondotto, sul piano strutturale, taluni specifici atti (in particolare, acclaramenti, accertamenti, certazioni), assegnando ad essi, sul piano funzionale, lo scopo di dare certezza a fatti o a rapporti giuridici.

Nel caso in esame, dal punto di vista della parte pubblica, la Consob ha esercitato un potere peculiare rispetto alla suddetta configurazione tradizionale.

Sul piano strutturale, l’attività può essere qualificata di regolazione avente ad oggetto la definizione e le modalità applicative di un concetto giuridico, quale è quello relativo al controllo di fatto societario, che non è stata prodromica all’esercizio di altri specifici poteri.

Sul piano funzionale, la finalità è, sulla falsariga del negozio di accertamento civilistico, quella di eliminare una situazione giuridica di incertezza che, però, in ragione della natura pubblica del soggetto, ha una rilevanza sia individuale sia generale.

Con riguardo al profilo individuale, si tratta di un potere di regolazione con funzione di accertamento degli specifici rapporti societari tra Telecom e Vivendi che elimina una incertezza giuridica che aveva dato anche luogo a conflitti di posizione tra gli stessi organi interni a Telecom. Tale potere, in ragione soprattutto dell’incidenza su rapporti di durata, sottoposti, per natura, a modifiche per cambiamenti interni alla compagine societaria, fermo quanto si esporrà oltre (punto 4.3), può essere oggetto sia di una successiva revisione da parte della stessa Autorità sia di una successiva contestazione da parte delle società stesse, con onere di queste ultime di dimostrare gli eventuali cambiamenti dei rapporti sottostanti. In questa prospettiva, l’esercizio di tale potere assolve anche ad una funzione di etero-composizione di una possibile lite e, quindi, presenta, in parte, caratteristiche analoghe a quelle proprie degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie.

Con riguardo al profilo generale, si tratta di un potere di regolazione con funzione di accertamento della nozione di controllo societario rilevante anche per gli altri operatori economici del mercato finanziario. Viene in rilievo, infatti, una nozione idonea a fornire indirizzi generali ai suddetti operatori in ordine al modo in cui l’Autorità intende tale nozione nel settore in cui essi svolgono attività di impresa.

Nel complesso, entrambe tali finalità sono strumentali al perseguimento dello scopo finale dell’esercizio del potere che è quello di assicurare il corretto funzionamento del mercato finanziario e l’interesse generale degli investitori e dei risparmiatori.

Dal punto di vista dei privati, le società coinvolte sono titolari di plurime situazioni giuridiche afferenti al rapporto societario, che sono state, nell’ambito del perimetro del potere esercitato, conformate dal potere amministrativo di regolazione dichiarativa. Tali soggetti hanno un interesse legittimo oppositivo al mantenimento nella originaria configurazione di tali rapporti che è cedevole rispetto all’interesse pubblico se il potere è stato correttamente esercitato.

L’interesse a ricorrere, pur a fronte di un potere dichiarativo, sussiste in quanto la suddetta qualificazione incide con immediatezza sul alcune regole organizzative e di attività delle società coinvolte anche in ragione del fatto che l’accertamento effettuato potrebbe essere posto a base di successivi eventuali poteri di vigilanza, regolazione specifica e sanzionatori.

4.2.˗ In relazione al fondamento legale sostanziale del potere in esame, non può ritenersi che le norme richiamate dal provvedimento impugnato di disciplina del controllo societario costituiscano la base legale espressa, in quanto, da un lato, l’art. 2359 cod. civ. è una disposizione generale di mera definizione della nozione di controllo, dall’altro, l’art. 2391-bis e il Regolamento Consob “o.p.c.”, pur avendo un contenuto puntuale, presuppongono, per la loro concreta applicazione, non solo che vi sia il requisito di controllo da essi definito ma anche che ricorra una specifica operazione con una parte correlata, da intendersi come qualunque trasferimento di risorse, servizi o obbligazioni.

La Sezione ritiene che il potere, in sé considerato, rinvenga, comunque, mediante l’applicazione di criteri di interpretazione sistematica, una base legale alla luce della natura del potere esercitato. Si può richiamare la teoria dei poteri impliciti con la puntualizzazione che, nella specie, non si è trattato, come già sottolineato, di un potere strumentale ad altro potere ma di una funzione di accertamento desumibile dall’intero impianto normativo e dalla stessa funzione generale che il legislatore ha inteso assegnare alla Consob.

La circostanza che si sia trattato di un potere con mera valenza di regolazione dichiarativa induce ad esprimere un giudizio di minore rigore rispetto alla necessità che sussista una adeguata base legale sostanziale.

Nondimeno, tale base rimane debole, in quanto, nella specie, non risultano espressi né il corollario della nominatività né quello della tipicità.

4.3.˗ In relazione al fondamento legale procedimentale del potere in esame, la suddetta debolezza sostanziale impone, ai fini del giudizio di validità del potere, il rafforzamento delle regole di garanzia della partecipazione degli operatori economici, secondo lo schema, già illustrato, proprio dei poteri impliciti.

Nella specie tali regole sono state violate.

La Consob, come risulta dalla ricostruzione della vicenda amministrativa, ha sempre avuto, come affermato anche dal primo giudice, una interlocuzione con le parti del rapporto giuridico, ma non risulta che siano state rispettate le regole di partecipazione come sopra riportate.

La natura, al contempo, individuale e generale del potere esercitato avrebbe dovuto imporre il rispetto delle norme relative alla consultazione pubblica e alla partecipazione al procedimento (cfr. art. 23 legge n. 262 del 2005 e art. 5 della deliberazione n. 19654 del 2016 della Consob, cit).

Con riguardo alla consultazione pubblica, la Consob avrebbe dovuto prevedere il coinvolgimento degli organismi rappresentativi soltanto relativamente agli aspetti di regolazione che attengono alla interpretazione della nozione di controllo societario in quanto essa è idonea, come sottolineato, a fornire indirizzi generali agli operatori economici del mercato finanziario. In questa fase le modalità procedurali devono essere tali da escludere atti e documenti contenenti dati coperti da riservatezza commerciale relativi agli specifici rapporti tra Vivendi e Telecom.

Con riguardo alla partecipazione procedimentale delle società appellanti, che è quella che più rileva in questa sede, la Consob avrebbe dovuto dare formale avvio a un procedimento specificamente finalizzato all’esercizio della funzione di regolazione dichiarativa del rapporto controverso per assicurare l’esercizio dei diritti di partecipazione.

Si tratta di un coinvolgimento delle parti necessario per garantire un contraddittorio procedimentale in funzione collaborativa e difensiva che, nella specie, dovendo colmare le lacune sostanziali della legge, assume valenza ancora più accentuata.

La non necessità della partecipazione non potrebbe desumersi, come rilevato dal primo giudice, dall’applicazione dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, il quale dispone che «il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto esercitato».

Si tratta di una norma che ha previsto in generale una “dequotazione della legalità procedimentale” ma, come esposto, in questo caso, si deve realizzare un rafforzamento di tale legalità per compensare la “dequotazione della legalità sostanziale”. L’attribuzione, nella fattispecie in esame, di un fondamento costituzionale al diritto di partecipazione impone di interpretare l’art. 21-octies nel senso che esso non possa trovare applicazione.

Anche a volere prescindere dall’effettivo perimetro applicativo di tale norma, in ogni caso, è la stessa natura del potere esercitato che impedisce di svolgere un giudizio prognostico favorevole alla pubblica amministrazione in ordine alla irrilevanza di una eventuale partecipazione. Vengono, infatti, in rilievo ampi profili decisori di contenuto giuridico che implicano valutazioni le quali rinvengono proprio nel procedimento la loro sede naturale.

In particolare, l’oggetto del confronto dialettico nel procedimento avrebbe dovuto essere duplice.

Sul piano formale, tale confronto avrebbe dovuto investire la stessa nozione di controllo di fatto civilistico in quanto dall’analisi degli atti del processo risultano versioni non coincidenti.

Nella prospettiva pubblica, come già sottolineato, l’influenza dominante consiste nella concreta capacità di determinare gli esiti assembleari mediante la concomitanza di una serie di elementi fattuali.

Nella prospettiva privata, l’influenza dominante presuppone una posizione di prevalenza in assemblea, esclusiva, unilaterale, stabile, in quanto la differenza tra controllo di diritto e di fatto sarebbe solo di natura qualitativa.

Tale confronto è rilevante anche al fine di analizzare in contraddittorio quali siano stati in precedenza gli orientamenti seguiti dalla Consob e consentire, in caso di mutamento di indirizzo interpretativo, una partecipazione difensiva effettiva.

Sul piano sostanziale (collegato al primo), il contraddittorio procedimentale dovrebbe essere finalizzato ad acquisire tutti gli elementi e le circostanze di fatto che devono essere posti alla base della valutazione finale e che sono anche nella disponibilità degli operatori economici.

Non avendo la Consob assicurato le suddette garanzie partecipative, il provvedimento impugnato deve essere annullato.

Il che non esclude che la Consob, titolare, per le ragioni indicate, anche di una funzione di regolazione dichiarativa, possa riesercitare il potere ma nel rispetto delle prescrizioni conformative della presente sentenza, con conseguente necessità di rispettare, secondo le modalità e i limiti indicati, le regole di consultazione e di partecipazione.

5.˗ L’accoglimento degli appelli per le ragioni sopra esposte, esime il Collegio dall’esaminare le ulteriori censure prospettate dalle parti appellanti.

5.1.˗ La Sezione ritiene soltanto di dovere richiamare le argomentazioni difensive delle parti sviluppate nelle ultime memorie in cui si è fatto riferimento ai poteri speciali che la Presidenza del Consiglio possiede ai sensi del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21 (Norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 maggio 2012, n. 56.

Si tratta di poteri speciali che attengono al controllo sugli investimenti esteri in settori nevralgici per l’economia, quale è il settore delle comunicazioni, che hanno natura diversa da quelli che sono stati esercitati dalla Consob, i quali si fondano su specifici criteri e presupposti che impediscono qualunque possibile assimilazione.

Allo stesso modo differente è la questione decisa dalla Corte di Giustizia, con sentenza 3 settembre 2020, causa C-719/18. Tale sentenza ha riguardato, infatti, una controversia tra, da un lato, Vivendi e, dall’altro, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e Mediaset s.p.a., in relazione ad una norma nazionale che vieta ad una impresa di conseguire ricavi superiori al dieci per cento dei ricavi complessivi del sistema integrato delle comunicazioni, qualora tale impresa detenga una quota superiore al quaranta per cento dei ricavi complessivi del settore delle comunicazioni elettroniche. Non può avere rilevanza, pertanto, in questo giudizio, per la diversità del suo oggetto, la descrizione, contenuta nella descrizione del procedimento principale e delle connesse questioni pregiudiziali, di Vivendi come società che «detiene una partecipazione del 23,9% nel capitale di Telecom Italia s.p.a.».

6.˗ La novità delle questioni trattate e l’esito della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, riuniti i ricorsi:

  1. a) accoglie, nei sensi di cui in motivazione, gli appelli proposti con i ricorsi indicati in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza 17 aprile 2019, n. 4990 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. seconda-quater, annulla la determinazione 13 settembre 2017, n. 106341 adottata dalla Commissione nazionale per le società e la borsa;

b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.