Sosta irregolare e sosta reato

Sosta irregolare e sosta reato

Premessa

Che il codice della strada sia una delle leggi più dibattute dalla nostra giurisprudenza lo sappiamo bene, così anche che la sosta costituisca da sempre, uno degli argomenti più trattati da Cassazione Civile e Cassazione Penale, dunque, destinataria di numerose sentenze che condizionano e non poco, l’attività di coloro che sono chiamati ad assicurare una corretta e puntuale interpretazione ed applicazione dei loro principi. 

Quanto sopra ci permette di capire che, quando parliamo di sosta, possiamo riferirci sia alla sua natura prettamente amministrativa così come trattata nella sua interezza dal nostro codice della strada, sia alla sua natura di reato, poiché tali sono da considerare alcune tipologie di soste irregolari quando ledono il diritto di autonomia dei terzi tutelato dal nostro codice penale.

A processo per una sosta in doppia fila? Assolutamente sì: alcuni giudici hanno stabilito che la pessima abitudine del parcheggio selvaggio non comporta soltanto la violazione del Codice della Strada, ma in certi casi può diventare reato. Insomma, chi parcheggia in doppia fila (o tripla) rischia non solo una severa sanzione pecuniaria ma persino il carcere. Tuttavia in certe situazioni di urgenza o pericolo può essere ammessa.

Sosta in doppia fila e codice penale

Recentemente l’argomento sosta in doppia fila è tornato alla ribalta dopo la decisione della Procura di Roma di contestare ai trasgressori il reato di “Interruzione di un servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità”, previsto dall’art.340 del Codice Penale[1] e punito con la reclusione fino a un anno.

Questo perché molto spesso le auto in doppia fila bloccano il passaggio di autobus e tram, interrompendo di fatto un servizio pubblico e più pericolosamente anche quello delle ambulanze. Ovviamente disagi del genere non capitano solo nella Capitale ma si verificano in tutte le grandi città, e anche in quelle un po’ meno grandi, compresa Milano, dove gli avvisi dell’azienda del trasporto pubblico locale, riguardo l’interruzione di corse a causa di vetture in sosta vietata, sono ormai all’ordine del giorno.

In realtà, però, l’azione della Procura di Roma non è del tutto inedita.

Già in passato, infatti, alcune sentenze avevano ravvisato nel parcheggio in sosta vietata gli estremi di un reato punibile con il carcere.

Illeciti anche gravi come violenza privata (art.610 del codice penale[2]), che può sussistere se un automobilista lascia intenzionalmente la propria vettura in doppia fila o comunque in divieto di sosta bloccando la libertà di movimento di uno o più soggetti, peggio ancora omicidio colposo (art.589 del codice citato[3]) o lesioni personali colpose (art.590 c.p.[4]) se lasciando l’auto in doppia fila si provoca un incidente stradale grave.

Chi parcheggia in doppia fila è quindi un conducente non soltanto indisciplinato ma potenzialmente pericoloso, ed è giusto che sia punito in maniera proporzionale alle proprie colpe.

Sosta in doppia fila: quando è ammessa?

Ci sono però particolarissimi casi in cui la sosta in doppia fila può essere ammessa. Non c’è un articolo di qualche codice che ne parli esplicitamente, ma in occasione di alcuni ricorsi i giudici si sono rifatti all’art.54[5] del Codice Penale riguardante lo “Stato di necessità”.

Tale articolo dispone infatti che “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.

Ciò significa che si può giustificare un parcheggio in doppia fila solo in situazioni di evidente pericolo, urgenza o gravità per sé o per gli altri.

Per passare dai principi generali all’applicazione della legge, quand’è che la sosta in doppia fila è consentita?

Si tratta di tutti quei casi in cui si prefigurino:

  •         carattere d’urgenza e imminenza;
  •         situazione di pericolo non evitabile (non esistono soluzioni alternative);
  •         condizione di gravità della situazione che si vuole evitare.

Uno degli esempi più comprensibili in questo caso può essere l’acquisto di un farmaco salvavita in una situazione eccezionale.

Pensiamo quindi alla necessità di procurarsi urgentemente un autoiniettore di adrenalina per far fronte ad uno shock anafilattico: sono quindi esclusi i casi di acquisti di farmaci che si assumano periodicamente e in maniera regolare.

Ma anche per un conducente che si ferma per soccorrere una persona che sta male o perché lui stesso non è più nelle condizioni psico-fisiche di guidare.

Ed ancora è possibile poter sostare in doppia fila quando il veicolo è in moto in quanto ciò è da considerarsi come una “breve fermata” e non invece una sosta prolungata.

Da questi pochi concetti, risulta lapalissiano comprendere la difficoltà che incontra qualunque agente di polizia stradale per il quale sarà inevitabile imbattersi in contestazioni di violazioni della sosta la cui lunga casistica, nel nostro codice della strada è trattata dagli articoli 6, 7, 22, 157, 158 e 188 ed i casi in cui la sosta diventi reato, ossia quando rientri nelle fattispecie previste dell’articolo 610 del codice penale, ossia quando una sosta genera violenza privata.

Rebus sic stantibus, non resta dunque, che esaminare le differenze tra le soste violazioni del codice della strada e le soste-reato; da qui proseguire per dipanare e risolvere un altro dubbio: se ci sono casi di sosta -reato tutelati già dal nostro codice penale, perché lo stesso diritto è tutelato dal codice della strada con l’istituzione del passo carrabile? Se ne potrebbe fare a meno?

La lettura di alcune sentenze e di alcune riflessioni di studi legali, hanno alimentato tali dubbi peri giungere a conclusioni che si ritengono meritevoli di condivisione con coloro che fanno lo stesso lavoro.

Sosta vietata e incidenti stradali

In caso di incidente stradale nel quale sia coinvolto un veicolo lasciato in sosta vietata non sempre è ipotizzabile una responsabilità del conducente di tale veicolo: più volte la Corte di Cassazione, IV Sezione Penale sentenza n. 3094 del 11 marzo 1998, ha precisato che: “…il segnale divieto di sosta ha per finalità quella di regolare la speditezza della circolazione e non quella di prevenire gli incidenti mediante la segnalazione di un pericolo. Pertanto, la violazione al divieto imposto dal segnale non integra gli estremi della colpa per violazione di legge ai fini della responsabilità per incidenti stradali.

Più in generale, con riferimento a qualsiasi tipo di divieto di sosta, si può affermare che, in caso di incidente, la responsabilità del conducente che ha lasciato il veicolo in sosta vietata è ipotizzabile solo se il veicolo costituiva effettivamente pericolo per la circolazione.

È necessario cioè che esista un nesso di causalità diretta tra la violazione del divieto di sosta e l’incidente accaduto, ossia, in pratica, che la violazione del divieto sia stata la causa dell’incidente. In ogni altro caso il conducente del veicolo lasciato in sosta vietata è sottoposto solo alla sanzione amministrativa per il divieto di sosta.

Importante proporre all’attenzione del lettore, conclusione e iter logico in base al quale la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 3257 pubblicata il 19 febbraio 2016 ha condannato l’impresa Assicuratrice dell’autocarro ed il proprietario del mezzo a risarcire il danno subito da un soggetto che perdeva la vita, a causa del distacco della rampa del “carrellone” a rimorchio dell’autocarro parcheggiato sulla pubblica via nei pressi dell’officina dove il mezzo era in riparazione, veniva colpito al volto dell’asse di detta rampa.

Tale decisione fonda le sue basi sulla sentenza a Sezioni Unite 8620 pubblicata il 29 aprile 2015 con la quale è stato sancito che “la nozione tecnico giuridica di circolazione stradale, quale assunta dall’art. 2054 cod. civ. (e, perciò, rilevante ai fini dell’operatività della garanzia assicurativa) ha una connotazione diversa e più ampia rispetto a quella che il termine “circolazione” assume nel linguaggio comune, sostanzialmente evocante l’idea dello spostamento o movimento, dovendo il concetto di “circolazione stradale”, al di là dell’apparente incongruità lessicale, comprendere anche la “circolazione statica”, e, cioè, anche i momenti di quiete dei veicoli, siccome costituenti un’utilizzazione della strada al pari del transito“.

…Concludono poi le Sezioni Unite rilevando che “per l’operatività della garanzia per la R.C.A. è necessario il mantenimento da parte del veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull’area ad essa parificata, delle caratteristiche che lo rendono tale sotto il profilo concettuale e, quindi, in relazione alle sue funzionalità, sia sotto il profilo logico che sotto quello di eventuali previsioni normative, risultando, invece, indifferente l’uso che in concreto si faccia del veicolo, sempreché che esso rientri in quello che secondo le sue caratteristiche il veicolo stesso può avere“.

In tema di sosta come concausa di incidente stradale penalmente rilevante ai fini di condanna per  omicidio colposo, fu una sentenza del tribunale di Milano, la prima di questo genere in Italia, che ha condannato tre automobilisti per aver provocato la morte di un motociclista il 16 luglio del 2009: uno di questi tre era al volante di un’auto che non ha dato la precedenza al centauro mentre gli altri due avevano posteggiato il proprio veicolo in corrispondenza dell’incrocio in questione, impedendo una buona visuale ai mezzi in transito. E quindi risultando un elemento determinante nella dinamica dell’incidente. Importanti le pene previste dal giudice: 9 mesi per la persona al volante dell’auto in movimento, 6 mesi per chi aveva lasciato l’auto posteggiata male e rinvio a giudizio per il terzo soggetto, di cui sono in esame le responsabilità.

Sosta irregolare e sosta reato

Ergo ritenendo utile ed opportuno approfondire questa differenza, è necessario confrontare i tanti scritti che hanno trattato in modo esaustivo e puntuale la problematica e operare una sintesi che enuncia tutti i casi in cui sostare diventi reato distinguendoli da quelli in cui una sosta irregolare resti solo una fattispecie sanzionata dal codice della strada.

Non è reato infatti, sostare con il veicolo vicino a quello di un altro anche solo per creare fastidio, lasciando uno spazio limitato per poter salire in auto o viceversa, mentre è reato parcheggiare l’auto talmente accostata ad un’altra, impedendo, al suo proprietario, l’apertura dello sportello e la conseguente entrata all’interno dell’abitacolo, di fatto ostacolando l’accesso e lo spostamento (sentenza Cassazione, Sezione V Penale, n. 53978/2017 del 30 novembre 2017).

Inoltre integra il reato di violenza privata la condotta di colui che, avendo parcheggiato irregolarmente il proprio veicoli in un’area condominiale, alla quale non aveva diritto di accedere, impedisce l’uscita di altri veicoli sulla pubblica via, rifiutandosi di liberare l’accesso e pretendendo che gli altri attendano le sue necessità (Cass. Pen. sez. IV, sentenza n. 16571 del 16 maggio 2005).

E ancora il conducente che parcheggia la propria automobile dietro quella di altro automobilista opponendo un rifiuto all’invito di quest’ultimo di spostarla per potersi allontanare è stato riconosciuto colpevole del reato di violenza privata (Cass. Pen. Sez. I, 4 luglio 2005 n. 24614).

Occorre precisare, tuttavia, che nel reato di violenza privata, il requisito della violenza, ai fini della configurabilità del delitto, si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l’offeso, il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare od omettere qualcosa contro la propria volontà. In entrambi i casi il reato di violenza privata si perfeziona, dunque, con il rifiuto e non nel mero elemento oggettivo che, in sé considerato, non assume le connotazioni offensive richieste dall’articolo 610 codice penale.

Non è reato parcheggiare la propria vettura nei pressi di un garage rendendo la manovra di entrata o uscita dallo stesso molto malagevole o sostare in una strada in modo da restringere la carreggiata e consentirne di proseguire la marcia disponendo di uno spazio molto limitato; è reato sostare davanti l’ingresso di un garage o un qualunque ingresso carraio, in modo tale da impedire ai veicoli di entrare o uscire dal loro posto di ricovero.

E ancora, non è reato sostare su un posto riservato ai disabili, come nell’immagine che segue

ma lo è se si sosta su uno stallo destinato ad un disabile, assegnatogli “ad personam” ossia all’interno di uno stallo non destinato alla collettività degli aventi titolo, ma ad uno ed uno solo di essi. Ogni qualvolta la sosta irregolare è reato, lede i diritti di autonomia e di libertà e tra queste quella di movimento, tutelati dall’articolo 610 del nostro Codice Penale, ossia ai casi in cui quella sosta genera il reato di violenza privata.

Ma arricchiamo ancora questo approfondimento, con altre sentenze della Corte di Cassazione, come sempre nostro faro per la corretta interpretazione di una norma e per adeguare le modalità operative rendendole perfettamente in linea con i chiarimenti forniti dagli Ermellini.

Confermata la condanna per violenza privata nei confronti di colui che si rifiuta di spostare la propria autovettura, che blocca l’accesso al cortile in uso anche ad altra persona a cui viene impedito di entrare per recuperare i propri attrezzi ivi depositati.

È quanto deciso dalla Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 51236/2019

Importanti anche le seguenti considerazioni che hanno orientato gli Ermellini nella massima di cui sopra.

Nel dettaglio, integra delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla persona offesa, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione (cfr. Cass. n. 8425/2013).

Nella sentenza n. 5358/2018, la Cassazione ha precisato che il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà. Pertanto, anche la condotta di chi ostruisca volontariamente la sede stradale per impedire ad altri di manovrare nella stessa si ritiene realizzare l’elemento materiale del reato in questione.

Nella sentenza n. 32720/2014 gli Ermellini sono giunti altresì alla conclusione che commette il reato di violenza privata colui che ostruisce con il proprio veicolo l’unica via di uscita da un fondo, o meglio, colui che fa questo con il preciso intento (dolo) di impedire la libera uscita dallo stesso. Giusta la condanna, pertanto, nei confronti dell’automobilista che aveva bloccato con il proprio fuoristrada l’unico passaggio che permetteva di uscire dal fondo per bloccare colui che, secondo l’imputato, stava illecitamente arando un fondo di sua proprietà.

(www.StudioCataldi.it) lucia Izzo 25 dicembre 2019.

Utile il breve estratto di seguito riportato, tratto da un articolo dell’Avv. Giuseppe Pepe, trovato a seguito di semplice ricerca sul web, che chiarisce la configurabilità del reato di violenza privata conseguente alla sosta anche se non addebitabile a volontà, ma anche a negligenza o non curanza.

 In generale, secondo la giurisprudenza chi parcheggia in modo tale da bloccare l’ingresso o l’uscita di un’altra auto, dal proprio posto auto condominiale, dal box, o da un garage, commette reato: quello di violenza privata. Tale reato prescinde dall’intenzione di procurare un danno al soggetto “ostruito”; anche la semplice noncuranza, disattenzione o dimenticanza può portare al procedimento penale. Il reato di violenza privata  punisce  chiunque costringa un’altra persona, contro la sua stessa volontà, a sopportare un comportamento altrui. La pena prevista è la reclusione fino a 4 anni. Pertanto, parcheggiare un’auto in modo tale da bloccare l’unica via di accesso ad altre auto configura il reato di violenza privata, in quanto l’ostruzione del passaggio priva la persona offesa della libertà di determinazione e di azione.

Da quanto sopra detto, emerge chiaro il principio che la Giurisprudenza ha sancito con diverse sentenze: non basta parcheggiare male e anche volutamente per aversi il reato di violenza privata, ma occorre di fatto, che la sosta, impedisca in toto ad un soggetto, l’esercizio del suo diritto a muoversi, della sua libertà di poter entrare ed uscire dalla sua proprietà a bordo del suo veicolo o di potervi salire o scendere liberamente.

Questo principio è da tenere sempre presente perché ci permette di navigare abbastanza sicuri tra codice della strada e codice penale, non soltanto da un punto di vista teorico, ma anche pratico ed operativo.

La tutela del passo carrabile.

È ben noto che ogni proprietario che ha realizzato un regolare passo carrabile, ha pieno diritto a potervi accedere.

Solo per necessità di chiarezza, nel nostro codice della strada, troviamo la definizione di passo carrabile nel punto 37 dell’articolo 3, secondo il quale un passo carrabile è “l’accesso ad un’area laterale idonea allo stazionamento di uno o più veicoli.

Alla definizione di cui sopra, il codice della strada, affianca le prescrizioni previste dall’articolo 22 che integra l’articolo 3 “senza la preventiva autorizzazione dell’ente proprietario della strada, non possono essere stabiliti nuovi accessi e nuove diramazioni dalla strada ai fondi o fabbricati laterali, né nuovi innesti di strade soggette a uso pubblico o privato”.

Un passo carrabile autorizzato, è individuabile dalla presenza dell’apposito segnale munito delle relative informazioni (ente che lo ha rilasciato e numero di autorizzazione).

Volutamente si evita qualsiasi cenno alla procedura di rilascio, ma riteniamo necessario un chiarimento in merito ad accese discussioni che hanno concentrato l’attenzione sull’obbligo di poter concedere tale diritto, solo ed esclusivamente ai locali idonei ad ospitare veicoli ed accatastati nella categoria C/6.

Tale obbligo non mi vede affatto d’accordo. Questo perché a parere di chi scrive, è troppo selettivo oltre che riduttivo della stessa definizione di cui all’articolo 3 punto 37, che si riferisce a qualsiasi area laterale idonea ad ospitare uno o più veicoli.

Ergo; non si comprende per quale ragione in un locale che ha i medesimi requisiti del garage identificato catastalmente nella categoria C/6 non si debba concedere autorizzazione ad esporre il segnale di passo carrabile sol perché, a parità di tutti i requisiti, manca quello di un accatastamento in categoria C/6.

In sintesi, la categoria C/2 non lo rende più idoneo ad ospitare i veicoli, però se costringo il richiedente ad accatastare il suo locale in categoria C/6, senza alcuna modifica interna, diventa idoneo? Beh non è affatto logico e peraltro facilmente confutabile. Ma per carità è solo un’opinione scevra da qualsiasi velleità di ragione.

Dunque quanto rappresentato nel presente paragrafo, evidenzia ampiamente l’attenzione del nostro codice della strada verso la tutela di quel diritto che è tutelato anche nel codice penale, ossia quello di permettere ad ogni titolare di un’area laterale idonea ad ospitare veicoli regolarmente realizzata, di potervi accedere o uscire con i propri mezzi in qualsiasi momento.

Operativamente, la difesa di tale diritto sappiamo che concede al suo detentore, anche l’obbligo di intervento di qualsiasi organo di polizia stradale (ma tanto sappiamo che alla fine intervengono sempre e solo gli agenti della Polizia Locale), il quale, ove accerti la presenza di veicolo davanti un passo carrabile reso evidente dall’esposizione del cartello stradale regolare, provvede a contestare la sanzione pecuniaria ex articolo 158 del codice della strada e a far rimuovere l’ingombro a mezzo di carro attrezzi, per come prescritto dall’articolo 159 del nostro codice della strada.

A questo punto di questo breve approfondimento una domanda sorge spontanea, accompagnata da ansia di risposta; ma se bloccare l’entrata e l’uscita di un’auto è reato e, dunque la difesa di chi lo subisce è tutelata dal codice penale, a che serve la tutela del codice della strada di cui all’art.22?

In sintesi ed in termini poveri ci si chiede, ma a che serve il passo carrabile?

Se ne potrebbe fare a meno?

Risvolti operativi nelle differenti ipotesi di sosta irregolare

Non riuscendo a trovare risposte a numerosi dubbi, ci si è immerso con pervicacia in una lunga e laboriosa ricerca che ci ha concesso spunti di grande interesse.

Infatti tra le tante letture effettuate, ve ne sono due, una dello Studio Avvocato Marella del 2013 ed una dello Studio Cataldi del 9 marzo 2020, le quali alla domanda “è possibile parcheggiare l’auto dinanzi ad un garage privo del segnale di passo carrabile senza rischiare alcuna sanzione?” giungevano ad identica conclusione: SI, certamente.

Nessuna novità per chi scrive, fino al momento del quesito cui cercavo riscontro; stessa conclusione notissima; ricordo che era il 2004, avevo assunto da poco la direzione della Polizia Municipale di Palma di Montechiaro ed avevo “fame” di conoscenza.

Mi incrociai, grazie all’indimenticato ex Comandante di quel Comando, Dott. Salvatore D’Orsi, in quello che da quel momento divenne mio amico e maestro, il Dott. Mimmo Carola, mio riferimento per tanti approfondimenti, confronti e consigli, il quale in un aggiornamento tenuto proprio presso il nostro Comando ci disse, che ove avessimo trovato in sosta un veicolo davanti ad un garage o passo carrabile privo di segnale stradale, non potevamo fare altro che rappresentare al suo proprietario, che potevamo fare intervenire a sue spese il carro attrezzi, farlo uscire o entrare, facendo riposizionare il veicolo lì dove era stato trovato. E così ho sempre disposto ed istruito il personale.

Ma in quell’occasione ed in quegli anni, era impossibile ancora imbattersi nella conoscenza della sosta reato che viola la privata autonomia e libertà, difesa dall’articolo 610 del codice penale.

Dopo aver letto diverse massime della Cassazione che evidenziavano proprio determinate soste come fattispecie degne della condanna ex art.610 del Codice Penale. ancora di più continuai a chiedermi, ma allora a che serve il passo carrabile?

Tra quelle massime che hanno accresciuto questo dubbio, anche la lettura di due sentenze della Cassazione Penale, Sez. V.: la n. 48346 del 7 dicembre 2015 che ha stabilito che “integra il delitto di violenza privata, la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura dinanzi ad un fabbricato, in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla parte lesa. Questo in considerazione che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione.”; la n.1912 del 17 gennaio 2018, con la quale gli Ermellini hanno chiarito che il reato di violenza privata si concretizza non quando la sosta renda malagevole manovrare a terzi, ma solo quando lo renda impossibile.

Sul punto sono diverse le Sentenze della Cassazione Penale, ma quelle sopra richiamate sono sufficienti ai fini che interessano il presente lavoro.

Tenuto conto di quanto fin qui commentato è d’uopo chiedersi come si complica quello che sembra un semplice intervento di routine per noi della polizia locale, ma che, de iure e de facto, si trasforma in un intervento tutt’altro che banale.

Infatti, poiché oltre ad essere agenti di polizia stradale, siamo anche agenti o ufficiali di polizia giudiziaria, a ricezione di una chiamata di intervento per constatare la presenza di veicolo tale da ostruire un ingresso carraio, non basta affatto chiedere se chi chiama dispone o meno di passo carrabile evidenziato dall’apposito segnale, ma occorre verificare se tale sosta ostruente, non integri il reato ex articolo 610 del codice penale.

Inoltre è utile, a parere di chi scrive, ricordare che in caso di accertata violazione del reato di violenza privata exs art.610 del codice penale, la procedibilità è d’Ufficio.

E andiamo anche oltre nel ragionare da ufficiali di polizia giudiziaria; abbiamo visto che, durante la permanenza dei divieti di spostamento delle persone fisiche istituiti con i DPCM 9 e 11 marzo 2020 rimasti in vigore fino al 25 marzo 2020, la loro violazione prevedeva la contestazione della violazione dell’articolo 650 del codice penale; fu anche chiarito che ove tali violazioni fossero state effettuate a bordo di veicoli, questi dovevano essere sottoposti a sequestro giudiziario onde evitare che il reato potesse essere portato ad ulteriore compimento (art.321 c.p.p.[6]), perché il veicolo era lo strumento che aveva leso la persona offesa.

Beh, seguendo lo stesso ragionamento, a nostro modesto parere, anche il veicolo che blocca l’entrata e l’uscita da un ingresso carraio deve essere sequestrato per impedire la prosecuzione del reato. Dunque, tornando a bomba, come si usa dire in gergo militare, ma a cosa serve il passo carrabile se posso ottenere la stessa tutela prevista dal codice penale?

Il passo carrabile nelle ipotesi dell’art.610 c.p.

A parere dello scrivente, ciò che giustifica il disporre di un passo carrabile, ossia della tutela che il nostro codice della strada assicura a chiunque intenda entrare e/o uscire da uno sbocco laterale idoneo a ospitare uno o più veicoli, trova risposta proprio nella diversa portata tra la norma penale ed il codice della strada.

Mentre infatti, il codice penale interviene solo nei casi in cui la parte lesa deve essere impossibilitata a far uso del suo veicolo per poter entrare o uscire dal luogo di custodia dello stesso, il codice della strada, ha una portata molto più vasta, perché, la presenza del cartello che evidenzi un passo carrabile, obbliga tutti gli utenti della strada a doversi astenere dall’uso di un solo millimetro dello spazio concesso a colui cui il passo carrabile sia stato rilasciato; dunque, solo la norma del codice della strada ci tutela anche da coloro che, volutamente, vogliono parcheggiare male limitando in tutto, ma anche in parte, il diritto riconosciuto unicamente al titolare di un passo carrabile (ossia entrare e uscire agevolmente dalla sua proprietà).

Ricordiamo cosa abbiamo chiarito nei paragrafi che precedono?

Non sempre parcheggiare male è reato, ma sempre chi occupa anche una minima porzione di strada ove vige un passo carrabile incorrerà nelle sanzioni pecuniarie ed accessorie ex articoli 158 e 159 del codice della strada.

Dunque, solo il codice della strada, offre quella tutela a 360 gradi che, alla fin fine, è obiettivo di tutti coloro che chiedono di poter fruire di un passo carrabile; nella quasi totalità dei casi, ogni richiesta presentata all’Ente per poter fruire di autorizzazione ad apporre il segnale di passo carrabile, è sempre accompagnata da motivazioni simili;

soste a spigolo o tali da invadere parte dell’ingresso o lo spazio di fronte, sì da rendere difficoltoso entrare o uscire dal proprio garage, anche con rischi di collisioni con altri veicoli o con parti strutturali degli stessi luoghi di stazionamento dei veicoli.

Solo il passo carrabile inoltre, rende possibile poter avere uso esclusivo non solo dello spazio uguale alla larghezza dell’ingresso di un qualsiasi luogo di custodia di veicoli, ma anche della sua proiezione frontale, ossia dell’inibizione permanente della possibilità di sostare con qualsiasi mezzo, nello spazio opposto all’ingresso, ove chiaramente, le limitate dimensioni della carreggiata rendano possibile tale concessione, demarcato da apposita segnaletica orizzontale.

Oltre a quanto sopra rappresentato, da un punto di vista operativo, la titolarità di un passo carrabile adeguatamente pubblicizzato, impedisce agli agenti accertatori, qualsiasi valutazione discrezionale, essendo ben scandite dal nostro codice della strada, le operazioni da fare: contestazione della violazione ex articolo 158 comma secondo e sanzione accessoria della rimozione del veicolo ex articolo 159 del codice della strada.

Conclusioni

Si è ritenuto di sottoporre all’attenzione ed al confronto, il presente approfondimento perché per lo scrivente è stato molto importante correlare due concetti, che come tanti altri, presentano analogie e differenze; apparentemente simili, ma sostanzialmente diversi, come la tutela offerta dal passo carrabile e quella più specifica prevista dall’articolo 610 del codice penale, nei soli casi in cui la sosta generi violenza privata. Utile anche la maggiore attenzione che la conoscenza di entrambe le norme ci impongono; non è da poco infatti, avere chiarito che ogni qualvolta le nostre sale operative ricevono la tipica chiamata di soccorso causa un passo carrabile ostruito da un veicolo, meglio non chiedere all’utente se disponga o meno di passo carrabile autorizzato, ma indirizzare comunque la pattuglia più vicina per un sopralluogo; meglio verificare se siamo in presenza di un normale intervento di routine, ossia di violazione delle norme del codice della strada o se non siamo in presenza di un reato quale quello di violenza privata, nel qual caso, ci vede obbligati ad agire in qualità di organo di polizia giudiziaria.

Ma mi si permetta a tal uopo un’altra domanda: se un’auto blocca l’entrata o l’uscita di un garage assistito da passo carrabile, il reato di violenza privata si concretizza ugualmente?

La presenza del passo carrabile, può mai essere esimente di una responsabilità penale?

Beh, pur non volendosi addentrare sul tanto dibattuto tema della “lex specialis” e del rapporto tra norme penali ed amministrative ex articolo 9 della Legge n.689/81, a mio parere, in tale circostanza esiste una perfetta convivenza tra norma penale e norma del codice della strada; l’una non esclude l’altra.

Peraltro la procedibilità nei casi di reato ex articolo 610 del codice penale è d’ufficio, dunque non soggetta alla proposizione di querela di parte.

Se vogliamo trovare un’analogia, limitando la ricerca solo alla correlazione tra sosta e violenza privata, basta ricordare il caso della sosta/reato che si concretizza quando un veicolo è lasciato in sosta all’interno di uno spazio riservato ad un diversamente abile assegnatogli “ad personam” e non su uno spazio di sosta genericamente riservato ai diversamente abili. La cassazione penale Sezione V, con la sentenza n. 17794/2017, ha chiarito che in tali casi non è possibile la sola applicazione della sanzione amministrativa, ma è doveroso anche procedere penalmente.

Ne consegue, per analogia, la medesima lettura nel caso in cui uno sbocco privato laterale, regolarmente realizzato, sia completamente ostruito da un’auto in sosta, anche in presenza di segnale di passo carrabile.

In conclusione, proprio le riflessioni testé rappresentate consigliano una rivisitazione della norma sui passi carrabili.

Infatti da sempre non si comprende la ragione per la quale un cittadino che ha provveduto a realizzare un qualsiasi sbocco dalla sua proprietà su strada, pagando tutti i diritti previsti per il rilascio del relativo permesso, debba ulteriormente essere gravato da ulteriori lungaggini burocratiche e spese per ottenere il rilascio di autorizzazione ad esporre il cartello stradale di passo carrabile, solo per essere tutelato nel suo diritto di entrare e uscire dallo stesso.

Se a queste considerazioni aggiungiamo la tutela offerta anche dal codice penale, non sarebbe un assurdo pensare ad un passo carrabile concesso automaticamente e gratuitamente ad ogni rilascio di permesso di costruire che preveda la realizzazione dello stesso. Ma è solo il pensiero di chi scrive.

Ergo alla domanda a che serve il passo carrabile, si è cercato di rispondere con le considerazioni sopra argomentate; alla seconda, se ne potrebbe fare a meno, per lo scrivente si, ma solo in presenza di adeguate modifiche al nostro codice della strada.

Si spera che le riflessioni di cui al presente lavoro siano utili per i colleghi ed i lettori in genere soprattutto per essere d’aiuto nel dirimere eventuali dubbi, ma, ancor più ad originarne di nuovi.  Come si sostiene da sempre, nulla infatti può arricchirci di più che un sano confronto.

 [1] Codice Penale, art.340 (Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità): “Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge, cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno.  I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni.”.

[2] Codice Penale, art.610 (Violenza privata): “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.  La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339.”.

[3] Codice Penale, art.589 (Omicidio colposo): “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.  Se il fatto è commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.”.

[4] Codice Penale, art.590 (Lesioni personali colpose): “Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena per lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni. Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.“.

[5] Codice Penale, art.54 (Stato di necessità): “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.  Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.  La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo.“.

[6] Codice di Procedura Penale, art.321 (Oggetto del sequestro preventivo): “1. Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato [104 disp. att. c.p.p.]. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. 2. Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca. 2-bis. Nel corso del procedimento penale relativo a delitti previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca. 3. Il sequestro è immediatamente revocato a richiesta del pubblico ministero o dell’interessato quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dal comma 1. Nel corso delle indagini preliminari provvede il pubblico ministero con decreto motivato, che è notificato a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. Se vi è richiesta di revoca dell’interessato, il pubblico ministero, quando ritiene che essa vada anche in parte respinta, la trasmette al giudice, cui presenta richieste specifiche nonché gli elementi sui quali fonda le sue valutazioni. La richiesta è trasmessa non oltre il giorno successivo a quello del deposito nella segreteria. 3-bis. Nel corso delle indagini preliminari, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Negli stessi casi, prima dell’intervento del pubblico ministero, al sequestro procedono ufficiali di polizia giudiziaria, i quali, nelle quarantotto ore successive, trasmettono il verbale al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito. Questi, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al giudice la convalida e l’emissione del decreto previsto dal comma 1 entro quarantotto ore dal sequestro, se disposto dallo stesso pubblico ministero, o dalla ricezione del verbale, se il sequestro è stato eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria. 3-ter. Il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti dal comma 3-bis ovvero se il giudice non emette l’ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. Copia dell’ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate.”.