Lo stato di necessità – di Domenico Giannetta

Lo stato di necessità – di Domenico Giannetta

Lo stato di necessità è la scriminante prevista dall’articolo 54 del codice penale secondo cui:
“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri1 dal pericolo attuale di un danno grave alla persona2, pericolo da lui non volontariamente causato3, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo1.
Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo5.
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata
risponde chi l’ha costretta a commetterlo6″.

 

I fattori che racchiudono i vari elementi costitutivi dello stato di necessità

 

Situazione di Pericolo

Condotta lesiva

Fonte del pericolo può essere una forza naturale, animale o umana

Oggetto del pericolo può essere soltanto un danno alla persona

Deve essere il mezzo assolutamente necessario per salvarsi

Deve essere proporzionata al pericolo

Per poter beneficiare della discriminante, il soggetto deve, in primo luogo, aver agito sotto costrizione, dovuta al pericolo attuale di un danno grave alla persona.
Tuttavia, la condotta illecita posta in essere deve risultare, oltre che proporzionata al pericolo, non altrimenti evitabile: il soggetto deve cioè aver agito senza la possibilità di evitare il pericolo attraverso azioni lecite o meno lesive dei beni giuridici protetti.
Esempi tipici di applicazione dello stato di necessità sono i seguenti: il naufrago che per salvarsi respinge un altro naufrago aggrappatosi alla stessa tavola, incapace di sostenere entrambi; l’alpinista che taglia la corda del compagno che ha perso la presa e che rischia di trascinarlo con sé; la manovra di emergenza di un automobilista che per evitare un camion sterza bruscamente investendo un passante; la persona in grave stato di inedia che ruba per sfamarsi; la persona inseguita da un leone scappato da uno zoo, che ruba un autoveicolo.
La norma opera anche rispetto ai reati colposi.
L’esempio classico è quello del genitore che, alla guida di un’automobile, vede il figlio di pochi anni camminare pericolosamente su un argine e arresta bruscamente il veicolo, causando un tamponamento.
La scriminante dello stato di necessità presenta numerosi punti di contatto con la esimente della legittima difesa.
Se ne differenzia tuttavia per due ordini di motivi:
• In primo luogo l’azione necessitata nella legittima difesa si rivolge contro l’aggressore, mentre nella causa di giustificazione di cui all’art. 54 si rivolge contro un individuo innocente, che non ha dato causa alla situazione di pericolo.
• In secondo luogo l’azione necessitata nella legittima difesa deve tendere a salvaguardare qualsiasi diritto, laddove nello stato di necessità deve mirare ad evitare il pericolo attuale di un danno grave alla persona.
E’ facile constatare che, a differenza della legittima difesa, il fatto commesso in stato di necessità non è un fatto lecito, che l’ordinamento giustifica e scrimina, ma un fatto che può considerarsi solo “tollerato”.
Infatti mentre l’aggressione, nella legittima difesa, è un fatto ingiusto, che legittima una reazione, nello stato di necessità il terzo è estraneo alla vicenda e spesso inconsapevole.
E’ anche per questo motivo che il soggetto pregiudicato ha diritto ad un indennizzo, istituto che, come è noto, ricorre quando si deve risarcire un fatto lecito.
Lo stato di necessità è cosa diversa dalla legittima difesa.
Nel caso di legittima difesa il bene che viene leso dalla reazione dell’aggredito è un bene dell’aggressore stesso, mentre nelle ipotesi di cui all’art. 54 l’azione lesiva è diretta nei confronti di un soggetto che non ha nulla che vedere con l’azione posta in atto per stato di necessità. Non c’è quindi un’aggressione da cui difendersi ma uno stato oggettivo di necessità.
Dalla lettura testuale della norma si desume che i requisiti perché si possa invocare lo stato di necessità sono:
• l’esistenza di un pericolo attuale e inevitabile;
• l’esistenza di un pericolo che riguardi un danno grave alla persona.
Lo stato di necessità come scriminante si base sul principio del bilanciamento degli interessi, in cui uno di essi viene considerato prevalente rispetto agli altri e perciò la condotta, qualora integri tutti i requisiti richiesti dalla norma, non sarà punibile.
Per lungo tempo in dottrina si è ritenuto che l’esimente in esame costituisse in realtà una causa di esclusione della colpevolezza.
Si riteneva infatti che il presupposto di applicabilità dello stato di necessità fosse l’impossibilità di muovere un rimprovero a colui che, minacciato da una situazione di pericolo, non potesse tenere un comportamento diverso da quello effettivamente tenuto.
Una tale concezione è oggi superata in virtù del dato legislativo di cui all’art. 54 c.p. che equipara la disciplina prevista per il caso in cui l’azione necessitata sia diretta a tutelare un diritto dell’agente e la situazione in cui invece l’azione necessitata sia teleologicamente orientata a difendere un bene giuridico di una terza persona.
In quest’ultimo caso non può certo sostenersi una inesigibilità psicologica dell’agente, specie ove questi agisca per salvare i beni di un estraneo o di uno sconosciuto.
Alla stregua di questo ragionamento maggior fortuna ha avuto in dottrina la teoria che vede la ragione giustificatrice della esimente in esame nella mancanza di interesse dello Stato a salvaguardare l’uno o l’altro dei due beni in conflitto, dato che uno dei due dovrà certo soccombere.
Si pensi al caso paradigmatico dello scalatore che sia costretto a recidere la corda che lo lega al compagno determinando così la morte ma al tempo stesso mettendo in salvo la propria vita.
L’articolo 54 del codice penale nel disciplinare la scriminante dello stato di necessità, esclude la punibilità di chi abbia “commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.
Ricercando la ratio della previsione normativa, il legislatore ha ravvisato un’equivalenza tra l’interesse sottoposto a pericolo di lesione e l’interesse leso dall’azione necessitata.
L’articolo 20457 del Codice Civile prevede, poi, che la condotta lesiva posta in essere in stato di necessità comporti l’obbligo della corresponsione di un’indennità la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice e non un risarcimento del danno.
Al fine dell’operatività della scriminante, la situazione di pericolo che rende l’azione necessitata deve essere attuale e l’attualità del pericolo deve essere valutata ex ante con riferimento alla situazione in cui versa l’agente prima di porre in essere la sua condotta offensiva.
Il pericolo attiene ad un grave danno alla persona propria o altrui: non necessariamente ad essere minacciato deve essere il bene vita o l’integrità fisica; la situazione di pericolo può investire anche altri diritti della personalità come la libertà personale, l’onore e il decoro.
La norma, poi, prescrive che lo stato di pericolo non deve essere stato volontariamente causato dall’agente e che non sia altrimenti evitabile, nonché che l’azione lesiva sia necessaria. Ulteriore presupposto richiesto, ai fini della configurabilità della scriminante, è la proporzionalità tra il danno arrecato con l’azione necessitata ed il pericolo di danno determinato dalla situazione necessitante.
La comparazione deve effettuarsi con riferimento al valore dei beni in conflitto e con riguardo al grado di lesione minacciato e arrecato.
Le norme sulle cause di giustificazione descrivono situazioni eccezionali in cui un fatto che normalmente costituirebbe reato non viene punito, in quanto l’ordinamento permette o esige quel comportamento.
Tale meccanismo di esclusione della risposta punitiva statale deriva dalla considerazione per cui esiste un interesse prevalente alla base della non punibilità del soggetto, come avviene nelle scriminanti dell’esercizio del diritto, della legittima difesa, dell’uso legittimo delle armi e dello stato di necessità, in cui si opera un bilanciamento degli interessi contrapposti, oppure un interesse mancante, come nella scriminante del consenso dell’avente diritto, dove viene meno l’interesse punitivo dello Stato per effetto della rinuncia del titolare alla conservazione del proprio bene.
Nella scriminante in oggetto il bilanciamento degli interessi in conflitto assume una particolare pregnanza, dato che ci si trova innanzi ad un conflitto di doveri, ossia ad una situazione in cui un soggetto sarebbe tenuto ad adempiere a due obblighi contemporaneamente, e l’osservanza di uno comporta l’inosservanza dell’altro.
Viene in rilievo il classico esempio in cui un medico è costretto, a causa della mancanza di tempo, a scegliere chi salvare tra due pazienti.
Pur se apparentemente simili, lo stato di necessità si differenzia dalla legittima difesa (art. 528 ), in quanto nella norma in esame:
• si giustifica una condotta lesiva nei confronti di un terzo estraneo e non di un aggressore;
• rilevano solo i diritti personali e non anche quelli patrimoniali;
• vi è qui un obbligo di indennizzo, dato che appunto il soggetto passivo della lesione è un terzo estraneo e non un aggressore.
Per quanto riguarda il “pericolo attuale di un danno grave alla persona”, esso può consistere in qualsiasi potenziale compromissione oltre che dell’integrità fisica, anche dei diritti personali (libertà sessuale, onore, riservatezza).
Il danno deve comunque presentare una certa gravità e, come espressamente disposto dalla norma, può essere rivolto ad altri.
Il pericolo, oltre a non essere causato da una condotta volontaria del soggetto agente (e nemmeno da una condotta colposa, secondo la giurisprudenza e la dottrina), può provenire da qualsiasi fonte, ovvero da una persona, da un animale, da un evento naturale.
L’azione necessitata deve essere caratterizzata da indilazionabilità e cogenza, e dunque la scriminante opera solo nei casi in cui il soggetto non abbia avuto alternative, e dev’essere proporzionata al pericolo.
Venendo qui in gioco solo diritti personali e non anche patrimoniali come nella legittima difesa, solo tra essi dovrà operarsi un bilanciamento e, quindi, il fatto sarà scriminato se il bene minacciato è prevalente o almeno equivalente a quello sacrificato.
La causa di giustificazione non può applicarsi a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.
Qui trattasi chiaramente di un pericolo diretto solo ed unicamente verso le persone ricoprenti una determinata qualifica, mentre queste potranno avvalersi della scriminante qualora si agisca per salvare un terzo.
Nel caso di costringimento psichico (minaccia), del fatto posto in essere dal minacciato risponderà colui che l’ha costretto a commetterlo.
Il pericolo può derivare da forze naturali, o animali, o dall’aggressione di un uomo.
In quest’ultimo caso la difesa deve provocare un danno a un terzo, altrimenti, se è diretta verso l’aggredito, la situazione sarà quella della legittima difesa.
Così se per evitare un delinquente che mi vuole uccidere gli sparo a mia volta, la fattispecie è quella della legittima difesa; se rubo una moto e scappo abbiamo lo stato di necessità.
Ovviamente l’azione dell’uomo contro cui ci difende deve essere illecita.
Il codice Zanardelli parlava di pericolo imminente.
Il codice Rocco invece sposta ad un punto antecedente il momento a partire dal quale la situazione di pericolo è considerata scriminante, dicendo che deve trattarsi di un pericolo di danno attuale, cioè incombente e probabile.
Così, ad esempio, è stato ritenuto esistente lo stato di necessità nel caso di un soggetto che era uscito armato ma senza porto d’armi dalla sua abitazione per dare la caccia ad un cane idrofobo che si aggirava nei dintorni.
Il danno deve essere, grave, e il giudizio sulla gravità deve essere effettuato valutando caso per caso.
Il carattere della gravità si riconnette con quello relativo alla natura del diritto leso, perché solo un danno alla “persona” può essere considerato grave, non essendolo quelli relativi alle cose.
Alcuni autori intendono l’espressione limitata solo al diritto alla vita e all’integrità fisica.
Altri, invece, più correttamente, estendono il campo di applicazione anche ad altri diritti della persona, come quello all’onore, del pudore (si pensi al caso della bagnante che, rimasta senza vestiti, ruba il vestito di un altro) e in generale a tutti i diritti della personalità (Cassazione Penale, Sez. III, 04/12//1981 nr. 10772).
La giurisprudenza afferma che i beni della persona tutelati dalla norma in esame sono tutti quelli costituzionalmente garantiti.
In particolare, la giurisprudenza di merito, adotta una concezione assai lata del concetto di danno alla persona, comprensivo di tutti quei diritti che, pur essendo attinenti a beni patrimoniali, sono in qualche modo attribuibili alla persona e riconnessi ad essa, come il diritto all’abitazione, alla riservatezza e al lavoro.
La Cassazione invece segue un orientamento più restrittivo, escludendo tutti i diritti a contenuto patrimoniale (Cassazione Penale, Sentenza n. 2784/1981).
Sono però inclusi nell’ambito della scriminante quei diritti che, pur avendo natura patrimoniale, attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona, come il diritto di abitazione (Cassazione Penale, Sentenza n. 7183/2008).
Lo stato di pericolo non deve essere stato causato volontariamente dall’agente.
Tale requisito, che a differenza della legittima difesa è previsto espressamente dalla legge, è di difficile interpretazione; a voler essere pignoli, infatti, quasi sempre un certo pericolo è causato volontariamente; ad esempio la giurisprudenza ritiene in genere che il dissipatore che è rimasto sul lastrico e ruba una medicina per salvare il figlio da un imminente pericolo possa invocare lo stato di necessità; ma è anche evidente che lo stato di necessità è creato da lui stesso.
Allora si precisa che “l’accertamento della volontarietà deve essere riferita alla situazione pericolosa cui immediatamente si ricollega il danno, e non a suoi lontani antecedenti”; o, meglio può dirsi che l’agente può volere l’azione che ha causato il pericolo, ma non deve volere il pericolo.
Così, ad esempio, non può invocare lo stato di necessità l’automobilista che sterza bruscamente e investe un passante nel tentativo di evitare un pericolo, se costui guidava ad alta velocità, superando i limiti di legge, avendo questi volontariamente causato il pericolo.
Sarà scriminato l’alpinista che abbandona l’altro al suo destino, se il pericolo è sorto all’improvviso, senza possibilità di prevederlo; ma non altrettanto può dirsi se c’era una situazione metereologica tale da rendere prevedibile il pericolo, e entrambi si erano accinti all’impresa per incompetenza, oppure sfidando volontariamente la sorte.
La norma precisa che l’esimente in esame opera solo se il soggetto non aveva un particolare dovere di esporsi al pericolo.
Un esempio di chi ha un dovere di questo tipo è quello del vigile del fuoco, che non può invocare lo stato di necessità se per difendersi dal fuoco sacrifica colui che deve soccorrere.
Il dovere di esporsi può derivare tanto dalla legge, organi di polizia, che da un contratto, istituti di vigilanza.
Il soggetto si deve trovare in uno stato di costrizione, cioè di impossibilità di decidere altrimenti.
Qui, a differenza che nella legittima difesa, pare che il requisito dell’inevitabilità implichi che non sussista l’esimente in questione quando l’agente poteva darsi alla fuga, oppure quando poteva ricorrere all’autorità (Cassazione Penale, Sentenza n. 4903/1997).
L’azione deve essere proporzionata al pericolo; nello stato di necessità il giudizio è più rigoroso che nella legittima difesa, perché colui che viene leso è un terzo estraneo, e non l’aggressore.
Taluno ritiene che la proporzione deve essere valutata in modo quasi matematico, ponendo a confronto il bene leso e quello messo in pericolo; ma secondo altri autori questa è una prospettiva sbagliata, perché occorre considerare anche il grado di pericolo a cui è esposto il bene; se io devo difendere il bene-salute di un terzo, che ha un altissima probabilità di essere leso, ledendo il bene-vita di un altro, che ha una bassa probabilità di esserlo, allora il rapporto di proporzione è rispettato.
Se Tizio per portare un ferito in ospedale corre con la sua auto e investe un passante, che muore, può invocare lo stato di necessità, anche se il bene effettivamente leso, la vita, è superiore a quello in pericolo, la salute; il punto è, infatti, che la morte del passante era un evento scarsamente probabile, mentre il rischio per la salute era certo ed elevato.
Il grado di proporzione quindi non va fatto tra le entità dei rispettivi danni, ma rispetto a tutti gli elementi caratterizzanti la situazione di fatto, e cioè occorrerà tenere nel debito conto l’elemento soggettivo, le modalità di realizzazione, il grado di pericolo che minaccia il bene ed il grado di probabilità di salvarlo attraverso l’azione necessitata.
Il cosiddetto soccorso di necessità ricorre quando l’azione necessitata è compiuta da un terzo soccorritore e non da colui che è in pericolo.
L’art. 54 infatti opera sia quando c’è la necessità di salvare se stessi, sia quando si deve salvare un altro, scriminando in ogni caso il soggetto agente.
Si tratta di una figura molto controversa e di cui alcuni auspicano l’abrogazione.
Il punto, infatti, è che tale norma permette ai cittadini di intervenire in situazioni di pericolo, mutando l’ordine naturale delle cose, e permettendo che si decida arbitrariamente una situazione a favore di un soggetto anziché di un altro.
Ad esempio permette a taluno di decidere quale dei due naufraghi gettare dalla zattera, favorendo un amico; o permette a un alpinista di decidere chi salvare, di due colleghi in scalata entrambi in pericolo.
Non solo, ma tale norma è stata invocata anche per scriminare il patteggiamento con terroristi o delinquenti, barattando la vita degli ostaggi con la libertà di malviventi.
Per questo motivo alcuni autori cercando di restringere la portata della norma fanno leva sull’elemento della necessità e della costrizione.
Ad esempio nei casi di baratto di ostaggi, si fa notare che non qualunque baratto è lecito, ma solo quello in cui il bene sacrificato sia inferiore a quello che si vuole proteggere (vita degli ostaggi con la libertà dei malviventi) oppure quando la scelta tra due soggetti da salvare sia tra persone di cui una ha una relazione molto stretta, di parentela o amicizia col soggetto agente.
L’ultimo comma si occupa del cosiddetto “costringimento psichico” o “coazione morale”, e dispone che “la disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata, risponde chi l’ha costretta a commetterlo”.
Un esempio di costringimento psichico è quello di un automobilista spinto a correre ad alta velocità da chi gli punta contro una pistola.
Oppure si può fare l’esempio, molto frequente in verità, del testimone che depone il falso minacciato dalla mafia.
Ovviamente per invocare la scriminante in esame occorre che ci siano tutti i presupposti dello stato di necessità, cioè la costrizione con conseguente impossibilità di scegliere.
A differenza del costringimento fisico, previsto dall’articolo 46 c.p.9, che esclude la suitas, il costringimento psichico esclude l’antigiuridicità.
La colpevolezza viene meno, in tali casi, in quanto la volontà, sebbene espressa, non è stata liberamente espressa dal soggetto che, anzi, si è trovato nell’impossibilità materiale di tenere un comportamento diverso da quello impostogli.
Un caso molto frequente riscontrato nella pratica è quello dell’occupazione abusiva di alloggi da parte di soggetti indigenti e senza casa.
In linea di massima la giurisprudenza di legittimità più risalente è abbastanza restrittiva e ritiene che in tale ipotesi non si integrano gli estremi dell’art. 54, in quanto la situazione è più correttamente definibile come stato di bisogno.
Del resto viviamo in una società in cui ci sono appositi strumenti di tutela degli indigenti che escludono l’inevitabilità e la necessità dell’occupazione abusiva (Cassazione Penale, Sentenza n. 11863/1995).
La giurisprudenza di merito invece tendenzialmente ha sempre riconosciuto lo stato di necessità, escludendo quindi il reato di invasione di edifici10; specie perché gli strumenti di tutela degli indigenti cui accenna la Cassazione operano con una lentezza elefantiaca, mentre le situazioni in oggetto richiederebbero una risposta immediata e concreta.
Di recente anche la Cassazione ha adottato orientamenti meno restrittivi, e ha affermato che “il concetto di danno grave alla persona può essere esteso, in armonia con quanto stabilito dall’art. 2 della Costituzione11 anche a quelle situazioni che minacciano solo indirettamente l’incolumità fisica, riferendosi alla sfera primaria dei diritti ricollegati personalità, come quello all’abitazione, in quanto l’esigenza di un alloggio rientra tra i bisogni primari di una persona” fermo restando che, dovendosi in tal caso comprimere i diritti di terzi estranei, vanno attentamente vagliati dal giudice l’esistenza dei parametri costitutivi dell’esimente (necessità e inevitabilità): Cassazione Penale, Sentenza n. 35580/2007 e Cassazione Penale, Sentenza n. 24290/2003.
L’esimente di cui all’art. 54 è stata invocata nel caso in cui agenti di polizia avevano inflitto violenze fisiche e morali a dei terroristi, per strappare informazioni necessarie a sventare piani eversivi.
Tuttavia la tesi, sostenuta dagli avvocati delle parti, è stata demolita in sede giurisdizionale, data l’operatività del principio di legalità12 che deve presiedere in ogni caso al funzionamento degli organi pubblici.
Nella specie, poi, secondo la Cassazione, mancava il requisito dell’attualità dato che, per essere tale, il pericolo si deve presentare ben individuato e circoscritto, e non generico e rivolto genericamente alla “collettività nazionale”.

Principio di legalità

Art. 25 Costituzione Italiana – Art. 1 Codice Penale : Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge né con pene che non siano da essa stabilite

Riserva di legge

Determinatezza

Tassatività

Solo la legge può prevedere reati e sanzioni

La legge deve descrivere reati e sanzioni in modo chiaro e preciso

Divieto in analogia in malam partem

Principio di irretroattività

Art. 25 Costituzione Italiana – Art. 2 Codice Penale : Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso

 

Della norma penale incriminatrice o aggravatrice

Non può invocare l’art. 54 il mafioso che fa parte della cupola e che ha votato a favore dell’esecuzione di un delitto per evitare vendette da parte degli altri, perché si tratta di un pericolo a cui il soggetto si è volontariamente esposto.
Non è applicabile l’art. 54 a chi ruba per procurarsi droga, perché lo stato di tossicodipendenza è volontariamente causato e l’astinenza non è un pericolo grave.
E’ applicabile la norma in esame al medico che interviene senza il consenso del paziente, per evitargli un danno grave e irreparabile.
Lo stato di necessità giustifica la contenzione fisica o farmacologica contro il consenso del paziente13.
La contenzione deve essere mantenuta sotto il diretto controllo del medico, motivata, circoscritta nel tempo e registrata nella cartella clinica del paziente14.
Trattandosi di un provvedimento limite e in un’area dove vi sono tuttora controversie alimentate da spinte antipsichiatriche, è buona prassi che il Primario richieda una relazione specifica sulle motivazioni che hanno determinato il provvedimento.
La raccolta di tali documenti costituisce uno strumento che permette di monitorare gli episodi di violenza e gli atti di contenzione a garanzia dei pazienti e degli psichiatri15.
Qualora il quadro clinico richieda il prolungamento della contenzione fisica si rende inevitabile il ricorso al TSO16.
Non è invocabile lo stato di costringimento psichico nei confronti del lavoratore che commette un illecito sotto minaccia di licenziamento da parte del datore di lavoro.
Chi guida senza patente per trasportare un malato grave, deve dimostrare l’assoluta impossibilità di utilizzare altri mezzi di soccorso, pubblici, o privati, sì che l’unica possibilità residua fosse quella di mettersi personalmente alla guida pur non avendo mai conseguito la patente di guida (Cassazione Penale, Sentenza n. 1702/1990).
La giurisprudenza ha escluso che lo stato di necessità possa giustificare l’attività medico-chirurgica in difetto del consenso da parte del paziente così come ha escluso che lo stato di bisogno economico sia idoneo ad integrare la scriminante dello stato di necessità, atteso che alle esigenze degli indigenti può provvedere la moderna organizzazione sociale per mezzo degli istituti di assistenza e difettando i requisiti dell’attualità del pericolo e dell’urgenza dell’azione penalmente rilevante.
Con specifico riguardo al presupposto dell’inevitabilità della condotta necessitata, per la giurisprudenza di legittimità non è mai invocabile la causa di giustificazione dello stato di necessità qualora sussista una percorribile alternativa lecita che possa realizzare la medesima funzione di salvaguardia del bene messo in pericolo.

1 La norma individua tre elementi che caratterizzano la scriminante in esame: il pericolo attuale, la necessità di salvataggio e la proporzione fatto-pericolo. Per quanto attiene alla necessità di salvataggio, si richiede la concreta attualità di una situazione di pericolo caratterizzata dall’imperiosità e dalla cogenza, in cui non vi sia altra scelta che non sia quella di ledere il diritto del terzo. Non ha rilevanza l’origine di tale stato di necessità, basta che non sia volontariamente causato. Al riguardo si pone il problema dei rapporti tra stato di bisogno economico e stato di necessità. La giurisprudenza della Cassazione ritiene che il bisogno economico non soddisfi i requisiti dell’articolo in esame, in quanto alle carenze economiche si potrebbe far fronte attraverso la moderna organizzazione sociale, che tutela indigenti, eliminando per questi il pericolo di restare privi di quanto occorre per il sostentamento. Non sono mancate però pronunce di diverso segno. La norma riferisce la necessità di salvataggio anche in relazione a soggetti terzi. Un accenno merita dunque la controversa figura del soccorso di necessità, che consente a chiunque di interferire nell’ordine naturale delle cose, mutando a proprio arbitrio situazioni di fatto a favore o a sfavore di un soggetto piuttosto che di un altro. Per chiarire si pensi al caso del naufrago che, mentre sta aiutando uno a salire su una piccola zattera lo annega, per permettere all’amico che sta arrivando di salvarsi. Il soggetto non risponderà di alcun reato. Alcuni autori hanno proposto l’abolizione di tale figura o, quanto meno, una sua decisa limitazione, a favore dei soli congiunti o ai soli casi in cui il bene salvato sia superiore a quello sacrificato.
2 La norma parla di pericolo attuale di danno grave alla persona, quale ulteriore elemento caratterizzante la scriminante in esame. Per quanto riguarda il pericolo, parimenti che per la legittima difesa, deve essere esistente al momento del fatto. Relativamente al danno grave, invece, esso non va inteso in senso restrittivo, in quanto si riferisce sia alla lesione della vita e dell’integrità fisica, ma anche della libertà personale, sessuale, del pudore e dell’onore.
3 Il pericolo viene definito “volontario”, dalla dottrina prevalente, quando causato dall’agente con dolo o con colpa.
4 L’ultimo elemento proprio dello stato di necessità è la proporzione fatto-pericolo, la quale dovrà essere valutata sulla base del rapporto di valore intercorrente tra i beni confliggenti. La scriminante opererà dunque quando bene minacciato deve prevale o, almeno equivale a quello sacrificato.
5 La norma ricorda il limite di applicabilità della norma in esame, di cui non potrà fruire chi ha un dovere giuridico di esporsi al pericolo. Si pensi al comandante di una nave, il quale non potrà invocare lo stato di necessità qualora abbia ucciso un passeggero allo scopo di mettersi in salvo sull’ultima scialuppa.
6 Tale comma disciplina il c.d. costringimento psichico. Lo stato di necessità si applica anche quando un soggetto tiene un certo comportamento antigiuridico, perché minacciato (un esempio è il caso di un automobilista che provoca un investimento perché spinto a correre sotto la minaccia di una pistola). Il soggetto agente si trova dunque a dover scegliere tra agire o subire il male minacciato. La scriminante in esame, però, potrà applicarsi solo se la minaccia è grave, seria e non evitabile, tale da creare nell’agente un vero e proprio stato di necessità, di cui devono al contempo essere presenti gli elementi costitutivi. Del fatto sarà chiamato a rispondere colui che ha posto in essere le minacce.

7 Art. 2045 Codice civile – Stato di Necessità
Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona [1447] e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice [925, 1038, 1053, 1328, 2047].

8 Art. 52 Codice penale – Difesa legittima
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa [55].
Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o la altrui incolumità:
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.
Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone.

9 Art. 46 Codice Penale – Costringimento fisico
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi.
In tal caso, del fatto commesso dalla persona costretta risponde l’autore della violenza.

10 Art. 633 Codice Penale – Invasione di terreni o edifici
Chiunque invade [637] arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati , al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da 103 euro a 1.032 euro.
Si applica la pena della reclusione da due a quattro anni e della multa da euro 206 a euro 2.064 e si procede d’ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone o se il fatto è commesso da persona palesemente armata.
Se il fatto è commesso da due o più persone, la pena per i promotori o gli organizzatori è aumentata.
11 Art. 2 – Costituzione Italiana
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
12 Art. 25 – Costituzione Italiana
Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.

13 Altrimenti si configura il reato di violenza privata (art. 610 c.p.) o di sequestro di persona (art. 605 c.p.).
14 Né può farsi ricorso, onde legittimare il trattamento sanitario non voluto, all’istituto dello stato di necessità, che soccorre unicamente
qualora ci si trovi di fronte ad un soggetto in pericolo di vita, che sia temporaneamente capace di intendere e di volere, a fronte dell’urgenza di somministrare la cura prima che la patologia evolva verso un esito fatale (Cass. Civ., Sez. III, n. 10014/1994; Cass., Sez. I, n. 21748/2007).
15 Alla luce dei suesposti principi deve ritenersi che l’utilizzo di mezzi di contenzione fisica sia consentito solamente in casi eccezionali, di breve durata e segnatamente quando il paziente, a causa di un severo danno cognitivo/comportamentale, si trova in condizioni di porre in pericolo la sua incolumità fisica e/o quella degli altri assistiti (Cass. pen. n. 28704/2015).
16 Trattamento Sanitario Obbligatorio (T.S.O.) disciplinato dalla legge 23 dicembre 1978 n. 833 (artt. 33-35) si configura quando una persona viene sottoposta a cure mediche contro la sua volontà. In pratica, tranne alcune rarissime eccezioni, si verifica solo in abito psichiatrico, attraverso il ricovero forzato presso i reparti di psichiatria degli ospedali pubblici (S.P.D.C. – Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura). La legge stabilisce che si può attuare il T.S.O. alle seguenti condizioni : la persona necessita di cure (secondo i sanitari che l’hanno visitata), la persona rifiuta le cure e non è possibile prendere misure extra ospedaliere. Di fatto il T.S.O. viene messo in atto quando la persona viene ritenuta pericolosa per sé o per gli altri, in soggetti che manifestano minaccia di suicidio, minaccia o compimento di lesione a cose e persone, rifiuto di comunicare con conseguente isolamento, rifiuto di terapia, rifiuto di acqua e cibo.
Il T.S.O. viene disposto dal sindaco del comune presso il quale si trova il paziente, quale autorità sanitaria locale, su proposta motivata da due medici, di cui almeno uno appartenente alla ASL territoriale del comune stesso. La procedura impone, infine, la convalida del provvedimento del sindaco da parte del giudice tutelare di competenza.

Bibliografia
Francesco Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Giuffrè Editore, 2003
Giorgio Marinucci e Emilio Dolcini, Manuale di Diritto Penale, Giuffrè Editore, 2004
Ferrando Mantovani, Principi di diritto penale, CEDAM, 2007
Giovanni Fiandaca e Enzo Musco, Diritto penale, Zanichelli, 2014