Le ordinanze amministrative di necessità e di urgenza – di Giuseppe Montana

Le ordinanze amministrative di necessità e di urgenza – di Giuseppe Montana

  1. Brevi considerazioni introduttive.

Lo stato di necessità  è una condizione che assume rilievo in diversi campi del nostro ordinamento giuridico.

Nel diritto penale, lo stato di necessità  serve per scriminare la condotta di colui che ha  violato una norma penale (art. 54 c.p.). Mentre, nel diritto civile serve per giustificare (e  quindi deresponsabilizzare)  l’azione di chi ha   leso i diritti altrui,  arrecandogli un danno  patrimoniale e/o non patrimoniale (art. 2045 c.c.).

Lo stato di necessità assume rilievo anche nel campo del diritto amministrativo, ove, in verità, produce un duplice effetto.

Innanzitutto, in presenza di una violazione di legge punita con una sanzione  amministrativa, lo stato di necessità consente di giustificare la condotta di chi  ha violato tale norma, esentandolo dall’irrogazione della  sanzione pecuniaria ed accessoria (art. 4 l. 689/81).

Inoltre, per quanto interessa alla presente trattazione, lo stato di necessità costituisce il presupposto per l’emanazione di due diverse tipologie di provvedimenti amministrativi: gli atti necessitati e le ordinanze di necessità ed urgenza.

 

  1. Gli atti necessitati.

Gli atti necessitati sono quei provvedimenti amministrativi che vengono emessi dalla P.A. in presenza di una specifica causa di necessità o di urgenza, espressamente tipizzata nella norma attributiva di potere, e   con un contenuto predeterminato dallo stesso legislatore.

Questi provvedimenti sono caratterizzati dal fatto che la norma attributiva di potere non si limita a prevedere, per la loro emanazione, presupposti fissati   in modo generico ed indeterminato,  (per come, invece, avviene per le ordinanze di necessità, per le quali si richiede genericamente  la ricorrenza di   casi di necessità ed urgenza). Al contrario, in questo caso  la norma di azione  tipicizza la specifica causa di necessità e di urgenza,  che dà luogo alla loro emanazione (es. necessità di realizzare, con urgenza, un’opera pubblica),  e, nel contempo, tipicizza anche il contenuto che deve avere l’atto da utilizzare  per la  fattispecie di necessità considerata dalla stessa norma (ad es. decreto di espropriazione,  ecc…).

Pertanto, in tutti questi casi, specificamente tipizzati dal legislatore, alla P.A. non viene chiesto di approntare,  motu proprio, una specifica  disciplina per il caso concreto, ma  essa si deve limitare ad  applicare il modello legale astratto alla fattispecie concreta  sottoposta al suo esame, scegliendo tra le varie tipologie di  atti necessitati  quella che si attaglia al caso concreto.

 

  1. Le ordinanze di necessità ed urgenza.

Diversa è la situazione per quanto attiene alle ordinanze di necessità ed urgenza.

In questo caso si è in presenza di   provvedimenti amministrativi extra ordinem, con i quali la P.A. appronta la disciplina del caso concreto, quando si verifica  un evento straordinario, cioè un evento non tipizzato  da nessuna norma attributiva di potere. Questa  specifica disciplina è  destinata, però,  a valere solo per il tempo strettamente necessario  a risolvere l’emergenza determinata dallo stesso evento straordinario.

Dal confronto tra le due predette  tipologie di provvedimenti  (atti necessitati ed ordinanze di necessità ed urgenza) emerge che in entrambi i casi il presupposto che  giustifica la loro emanazione  è lo stato di necessità, tuttavia esse si distinguono in ragione dei presupposti che portano alla loro emanazione ed in ragione  del loro contenuto.

Infatti,  per gli atti necessitati, il legislatore cristallizza nella norma di azione sia la specifica causa di necessità  ed urgenza che determina la loro emanazione (es. realizzazione d’urgenza di un’opera pubblica) sia il contenuto essenziale dell’atto che deve essere adottato per risolvere  tale emergenza (decreto di occupazione di urgenza).  In conseguenza di ciò, avendo  un contenuto fissato dal legislatore,  gli atti necessitati rientrano nel novero dei provvedimenti tipici e quindi sono in perfetta aderenza con il  principio di legalità inteso in senso sostanziale.

Mentre,  per le ordinanze di necessità ed urgenza,  la norma attributiva di potere  si limita a stabilire, in modo generico,  i presupposti in presenza dei quali esse vengono emesse e cioè la ricorrenza di tutti i casi di necessità ed urgenza, senza tipizzare i singoli e specifici casi in cui tale necessità si deve concretizzare.

Inoltre, la norma di azione prevede anche  la materia su cui le ordinanze in parola  possono intervenire e la specifica finalità pubblica che devono  tutelare, ma  non prevede nessun nucleo essenziale del loro contenuto, la cui determinazione viene, pertanto,  rimessa all’attività creativa della discrezionalità amministrativa.  Ne consegue, che tali ordinanze si caratterizzano per la loro atipicità, perché privi di un paradigma legislativo che fissi il loro contenuto essenziale.

Tale ultima circostanza  ha portato   la dottrina maggioritaria a ritenere che le  ordinanze di necessità ed urgenza costituiscono un’eccezione al principio di legalità inteso in senso sostanziale, (cfr. Sandulli, Cassese, Giannini e Casetta). In merito al principio di legalità da intendere nella sua accezione sostanziale, si rimanda a quanto  già ampiamente  argomentato dallo scrivente nel precedente n° 0/2020 di questa stessa Rivista.

Ebbene, a prescindere da quanto espresso dalla predetta  elaborazione dottrinale sulla mancanza di tipicità di dette ordinanze, di certo, tale mancanza comporta seri  risvolti non solo sul piano  dogmatico, ma anche dal punto di vista pratico. Infatti, questa architettura legislativa,  che lascia  alla discrezionalità amministrativa la determinazione del contenuto concreto di tali ordinanze, fa   sorgere l’ulteriore  problema di individuare il parametro cui si deve attenere il Giudice amministrativo quando si trova a valutare la loro legittimità. Ciò, in quanto  tanto maggiore è la discrezionalità riconosciuta al campo di azione della P.A. procedente, tanto minore sarà lo spazio riconosciuto al Giudice nella valutazione della  legittimità amministrativa di queste  ordinanze.

Su tale discussione è, pertanto,  intervenuto il parere di un’altra  della dottrina (cfr.,  ad esempio, Ramajoli), secondo cui  la legittimità di queste ordinanze non si deve valutare alla luce del principio di legalità, perché esse  trovano il loro fondamento e la loro giustificazione nello stato di necessità.  Secondo questa opinione dottrinale, il difetto di tipicità delle ordinanze (e quindi la mancanza di un contenuto minimo fissato dal legislatore) non priva il Giudice di un parametro di valutazione in forza del quale deve accertare  la loro legittimità. Infatti, per questa parte della dottrina, il  parametro giurisdizionale di valutazione della legittimità delle ordinanze non si deve fondare sulla loro conformità o meno al contenuto tipico fissato dal legislatore (perché questo,  come detto,  manca), bensì sul principio di proporzionalità elaborato dalla giurisprudenza europea e recepito nel nostro diritto amministrativo in forza dell’art. 1, comma 1, legge 241/90.

In pratica, il Giudice deve valutare se vi sia proporzionalità tra l’evento straordinario ed il contenuto dispositivo dell’ordinanza e tale proporzionalità sussisterà solo quando la soluzione adottata con l’ordinanza risponda al c.d. principio del “ giusto mezzo”, già elaborato dal Giannini e,  poi,  recepito dalla legge generale sul procedimento amministrativo (l. 241/90). In altre parole, la proporzionalità sarà rispettata nel caso in cui la  decisione adottata  con l’ordinanza sia  tale da affrontare, in modo idoneo ed adeguato, l’emergenza determinata dal caso straordinario, con il minor sacrificio possibile per  gli interessi contrastanti (pubblici e privati).

Tale ultima impostazione dottrinale sembra essere stata colta anche dalla giurisprudenza amministrativa.

Quest’ultima   ha avuto modo di affermare che  l’adozione di un’ordinanza extra ordinem  “…presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un’istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente …” (cfr. TAR  Liguria , sez. II, sent. 875/2015).

Nello stesso senso sembra muoversi anche il Consiglio di Stato, che,  con la sentenza n° 904/2012, afferma che  le “… ordinanze in questione presuppongono una situazione di pericolo effettivo … e ciò giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi, la possibilità di deroga rispetto alla disciplina vigente e la necessità di motivazione congrua e peculiare, la configurazione anche residuale, quasi di chiusura, delle ordinanze contingibili ed urgenti.”.

E’ evidente  come il richiamo giurisdizionale all’ “istruttoria adeguata” ed alla “congrua motivazione”  sottende che le decisioni assunte con l’ordinanza devono essere conformi al principio di proporzionalità. Ciò, in quanto  l’ “istruttoria adeguata” e la  “congrua motivazione” si configurano quali elementi strutturali dell’ordinanza, la cui funzione è proprio  quella  di verificare se   la decisione adottata  risulti adeguata e proporzionata rispetto all’evento emergenziale. In definitiva,  questi elementi strutturali permettono di verificare  se l’ordinanza ha ottemperato al principio di proporzionalità, perché servono per accertare se l’ordinanza  non poteva  avere altro contenuto se non quello in essa concretizzatosi, al fine di  tutelare l’interesse pubblico protetto e, nel contempo, anche gli altri interessi contrastanti.

  1. Limiti fissati dalla Corte Costituzionale per garantire la legittimità delle ordinanze di necessità ed urgenza.

Come  già sopra anticipato, le ordinanze di necessità ed urgenza vengono emesse in presenza di un evento straordinario non previsto  dall’ordinamento giuridico. In pratica, il ricorso a tali provvedimenti costituisce l’extrema ratio  (cfr.  Tar Puglia – Lecce – sent. 797/2016),  cioè ad essi si può ricorrere solo quando per  l’evento da disciplinare non sia possibile utilizzare  nessun altro rimedio tipizzato  dal legislatore, ivi compresi gli atti necessitati di cui si è già detto sopra.

Ovviamente, in uno stato di diritto  la P.A. non può emettere questi provvedimenti ad libitum, ma tale suo potere deve essere contenuto entro limiti ben precisi,  al fine di evitare che la sua attività amministrativa possa trasbordare in possibili abusi  e/o lesioni dei diritti ed interessi altrui.

In questo senso, è più volte intervenuta la Corte Costituzionale, che, pur riconoscendo la legittimità costituzionale dei predetti provvedimenti, ha però individuato i limiti entro cui gli stessi provvedimenti devono essere emessi.

Qui, di seguito, viene effettuata una disamina di tali limiti elaborati dalla giurisprudenza costituzionale.

Sin da ora, però, si precisa  che nel nostro ordinamento giuridico le ordinanze di necessità ed urgenza possono essere emesse da vari Organi della P.A. (Ministro dell’Interno, Ministro della Salute, Presidente della Regione, Prefetto, Soggetto attuatore in materia di protezione civile,  Sindaco, ecc… ). Tuttavia, qualunque sia l’Organo amministrativo che le emetta, esse   sono sempre  caratterizzate dal fatto che  rimangono subordinate  ai suddetti  limiti elaborati dalla giurisprudenza costituzionale.

Pertanto, è possibile effettuare uno studio unitario di queste ordinanze, considerandole come un’unica tipologia di provvedimenti amministrativi nonostante che promanino da vari Organi. Per tale ragione, in questa sede,  ci si soffermerà solo sulle ordinanze del  Sindaco,  perché  si configurano come il  paradigma normativo di tutte le ordinanze di necessità ed urgenza della P.A. .

 

  1. Primo limite: norma attributiva di potere.

Il primo limite fondamentale individuato dalla Corte Cost. attiene alla fonte normativa del potere di ordinanza. Infatti, la Corte stabilisce che il potere della P.A. di emettere le ordinanze di necessità e di urgenza deve trovare il suo espresso fondamento in una norma attributiva di potere (sent. 201/87).

Ed invero, secondo la Corte,  queste ordinanze possono essere emesse solo se sussiste una specifica norma di legge, che consente alla P.A. la loro emanazione e che,  nel contempo, stabilisca anche i presupposti per la loro emanazione (necessità ed urgenza), la materia su cui devono intervenire e   lo specifico interesse pubblico che devono tutelare.

Per la Corte Cost.,  la previsione di tali elementi è sufficiente per garantire la legittimità costituzionale della norma attributiva di potere e, mediatamente ad essa, anche quella delle stesse ordinanze.

Mentre,  sempre in base alla predetta giurisprudenza costituzionale, non è necessario che la norma di azione preveda anche il contenuto essenziale dell’atto con cui si deve esercitare tale potere di ordinanza. Ebbene, come già detto sopra, è proprio la mancanza di tale  contenuto essenziale fa sorgere quei problemi di  atipicità, che inducono la dottrina maggioritaria ad affermare che questi provvedimenti non rispettano il principio di legalità inteso in senso sostanziale.

Tuttavia, nonostante tale innegabile conclusione, è bene però precisare che  l’obbligo  di ancorare la legittimità di queste ordinanze alla ricorrenza di una specifica norma attributiva di potere,  consente di salvaguardare il rispetto del principio di legalità, se non sotto l’aspetto sostanziale della tipicità dei provvedimenti, di certo sotto il suo aspetto formale. Ed invero, la ricorrenza di  tale norma di legge consente di affermare che la   fonte legittimante delle ordinanze,  come anche il loro potere derogatorio, si ricolleghi  direttamente alla volontà del legislatore e non alla mera volontà della P.A. procedente.

  1. Le norme attributive di potere delle ordinanze di necessità e di urgenza del Sindaco.

Com’è stato già anticipato,  per lo studio di questa tipologia di ordinanze, nella presente trattazione  il parametro di riferimento è rappresentato dalle ordinanze sindacali.

Ebbene, nel caso specifico delle ordinanze di necessità ed urgenza emesse dal sindaco, le principali norme di azione su cui si fonda il potere  di ordinanza  sono  rappresentate dall’art. 50, comma 5,  (per le emergenze di igiene e sanità pubblica) e dall’art. 54, commi 4 e 4bis,  (per le emergenze che attengono alla pubblica incolumità ed alla  sicurezza urbana) del d.lgs. 267/2000.

Ovviamente, sussistono anche altre norme attributive del  potere sindacale di emanazione delle  ordinanze contingibili ed urgenti, quali ad esempio:  l’art. 32 l. 833/78, l’art. 117 d.lgs. 112/98, l’art. 191 d.lgs. 152/2006. Tuttavia, facendo riserva di trattare tali norme  più compiutamente in un altro momento, in questa sede  si prenderanno in considerazione solo i citati artt. 50, comma 5, e 54, commi 4 e 4 bis, d.lgs. 267/2000, che comunque assurgono a modello riepilogativo di tutte le ordinanze sindacali di necessità e di urgenza.

Ebbene, queste due norme prevedono come presupposti fondanti, per l’emanazione delle ordinanze sindacali  di necessità ed urgenza,  la ricorrenza di  due fondamentali caratteri,  che devono contraddistinguere l’evento da disciplinare: la contingenza e l’urgenza.

 

  1. La contingenza dell’evento.

L’evento, per essere  contingente,  deve avere tre caratteri: deve essere straordinario, deve determinare uno stato di necessità e deve essere occasionale.

L’evento è contingente quando si tratta di un evento straordinario non previsto dall’ordinamento giuridico, cioè un evento non tipizzato da alcuna norma attributiva di potere. Si deve trattare, pertanto,  di un evento che non consente di essere trattato con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento, nemmeno tramite i c.d. atti necessitati.

Tale evento,  oltre ad essere straordinario,   deve anche determinare uno stato di necessità, perché deve essere tale da ledere o mettere  in pericolo un interesse giuridicamente rilevante, cioè riconosciuto e protetto dall’ordinamento.

Tuttavia, affinchè si determini lo stato di necessità, è necessario che la  lesione o la messa in pericolo dell’interesse pubblico,  derivante  dall’evento contingente,  sia attuale (o quanto meno imminente) e concreta.

Il carattere dell’attualità comporta che  non è sufficiente la mera possibilità che la lesione o la messa in pericolo dell’interesse  vengano in esistenza nel futuro, ma è necessario che esse  sussistano, già, al momento dell’emanazione dell’ordinanza,  ovvero che rispetto a questo momento siano del tutto imminenti. E’ importante precisare che non serve che l’evento straordinario sia sorto nell’immanenza dell’ordinanza,  perché può anche essere risalente nel tempo, ma è necessario  che al momento dell’ordinanza la persistenza dell’evento determini lo stato di attuale o di  imminente  lesione o di  messa in pericolo dell’interesse pubblico da tutelare (ex multis, cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2010, n° 670).

Il carattere della concretezza, invece, determina  che la lesione ovvero la messa in pericolo dell’interesse pubblico si devono  cogliere  in modo tangibile ed  effettivo  – al momento dell’emanazione dell’ordinanza -, mentre non è sufficiente che esse si manifestino  con modalità  evanescenti e  sfumate, ovvero  in modo tale   da non assicurare la loro effettiva  forza di vulnerabilità rispetto all’interesse pubblico da tutelare con l’ordinanza.

Come già detto nell’incipit del presente paragrafo,  la struttura della contingenza  dell’evento non è caratterizzata solo dalla straordinarietà e  dalla necessità, ma risulta caratterizzata anche  dalla sua occasionalità  ed accidentalità (cfr. T.a.r. Liguria, sez. II, sent. 875/2015), cioè dalla non ripetitività dell’evento nel tempo.

Infatti, se si  tratta di un evento che si ripete nel tempo, non si può   ricorrere allo strumento dell’ordinanza extra ordinem (di matrice monocratica), perché quest’ultima   è destinata  a disciplinare il caso concreto e, quindi,  ad esaurire la sua efficacia con la cessazione dello stato di emergenza determinato  proprio dall’occasionalità dell’evento straordinario.

Ed invero,  nel caso di un evento contraddistinto  dalla sua ripetitività (pur se  straordinario) si deve, invece,  ricorrere al diverso  strumento giuridico  del regolamento. Infatti, trattandosi di un evento che ritorna nel tempo,  esso perde il suo specifico carattere dell’accidentalità (e con esso, a fortiori,  anche quello della contingenza) e quindi, per ciò stesso, consente alla P.A. la possibilità di organizzarsi per approntare una disciplina stabile e permanente, secondo le modalità ordinarie promananti da un Organo collegiale e  che esulano da quelle extra ordinem (cioè per mezzo del regolamento)

In definitiva, in caso di ripetitività, l’evento  non potrà essere regolamentato con le ordinanze sindacali extra ordinem, bensì facendo ricorso al  regolamento. Quest’ultimo, pur essendo un atto formalmente  amministrativo,   però svolge una funzione materialmente normativa, perchè è   destinato a valere semper et ad semper (cioè sino alla sua modifica o abrogazione). Per tale ragione,  consente di innovare l’ordinamento giuridico mediante l’introduzione  di una specifica disciplina,  che,  in modo   permanente, tipizzerà sia l’evento che si ripete nel tempo sia  la sua specifica regolamentazione.

Circa l’impossibilità di ricorrere all’ordinanza extra ordinem in presenza di eventi che si ripetono nel tempo, si è pure espresso il  Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del Ministero dell’Interno, a proposito dell’utilizzo di articoli pirotecnici per le festività di fine anno. In merito a ciò, il Dipartimento ha avuto modo di far  rilevare  l’illegittimità  delle ordinanze sindacali contingibili ed urgenti che vietino tali attività pirotecniche di fine anno,  elencando tra le cause di  illegittimità anche il carattere ripetitivo dell’evento, oltre al fatto che la materia già trova una sua compiuta disciplina nel d.lgs. 123/2015, (cfr. la circolare  del 9.12.206, prot. 0018798).

Infatti, trattandosi di un evento disciplinato dalla legge e che si ripete nel tempo,  non può assumere  il carattere della  contingenza e  tale circostanza impedisce al Sindaco di poter intervenire su tale materia con ordinanze contingibili ed urgenti.

Pertanto, nell’ambito di  tale  specifico settore degli articoli pirotecnici (come anche in tutti gli altri casi di eventi ripetuti nel tempo e disciplinati dalla legge), i provvedimenti del Sindaco si devono  limitare  a porre in essere solo quelle attività di supporto che si dovessero rendere  necessarie per facilitare il rispetto della specifica  disciplina legislativa di settore (nel caso di specie rappresentata dal d.lgs. 123/2015 ed art. 57 T.U.L.P.S. e 703 c.p.). Mentre, tali provvedimenti sindacali non potranno mai   creare nuove norme impositive riferite all’utilizzo degli articoli pirotecnici, ovvero ad altri  diversi comportamenti già disciplinati dal legislatore.

 

 

 

  1. L’urgenza dell’evento.

Come già sopra anticipato, i citati artt. 50, comma 5, e 54, commi 4 e 4bis, d.lgs. 267/2000, accanto al presupposto della contingenza, richiedono  l’ulteriore requisito dell’ “urgenza” dell’intervento,  come presupposto legittimante delle ordinanze extra ordinem  del sindaco .

In base a questo diverso requisito dell’urgenza, l’evento straordinario deve determinare uno stato di necessità che richiede un intervento immediato, non dilazionabile nel tempo (ex multis, cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. 820/2010).

Qualora, invece, ricorresse la possibilità di rinviare nel  futuro la trattazione dell’evento, pur se  straordinario,  il ricorso al provvedimento sindacale extra ordinem non sarebbe più giustificabile. Infatti, in tal caso ci sarebbe tutto il tempo per predisporre un’apposita regolamentazione da far passare al vaglio dell’Organo collegiale del Consiglio comunale, con la possibilità, quindi,  di tipizzare la disciplina di quell’evento con una nuova regolamentazione, che verrebbe ad innovare l’ordinamento  dell’ente locale, in forza del  potere auto ordinante del Comune.

Infine, è utile rilevare che il requisito dell’ “urgenza” non si limita a giustificare il ricorso all’ordinanza sindacale extra ordinem, ma sortisce  refluenze anche sul piano procedimentale e  precisamente sullo svolgimento del  procedimento amministrativo che porta all’emanazione della stessa ordinanza.

In proposito, infatti, si deve ricordare che,  ai sensi dell’art. 7 l. 241/90,  la ricorrenza di particolari esigenze di celerità consente la possibilità di omettere la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo. Tale circostanza, però, non esime l’Amministrazione procedente (e quindi il Sindaco) dall’obbligo di provvedere ai dovuti adempimenti partecipativi,  previsti  dalla legge generale sul procedimento amministrativo (capi III e V della l. 241/90). Si fa qui riferimenti al  diritto di intervenire nel procedimento, di prendere visione e/o estrarre copia degli atti del procedimento, nonché a quello di presentare memorie e documenti, che l’Amministrazione procedente dovrà necessariamente valutare ai fini dell’emanazione dell’ordinanza.

  1. Secondo limite: i principi generali dell’ordinamento giuridico.

Per la Corte Cost.,   al fine di garantire la legittimità delle ordinanze in questione, è richiesto un altro requisito indispensabile, che  attiene alla necessità di rispettare i principi generali dell’ordinamento giuridico (sent. 8/56 e sent. 26/61).

L’individuazione di tale requisito costituisce, nello stesso tempo, un ampliamento ed  un  limite ai poteri riconosciuti alla P.A. procedente.

Ed invero, l’imposizione dell’obbligo di rispettare i principi generali dell’ordinamento amplia il potere della P.A., perché implicitamente le  riconosce il potere di derogare alle leggi vigenti. Infatti,  la ricorrenza di un tale obbligo, prima ancora che sul piano giuridico, certamente sul piano logico-deduttivo  presuppone che la P.A., per effetto di dette  ordinanze, esercita un potere derogatorio delle leggi vigenti, altrimenti non avrebbe senso imporle, come limite invalicabile di tale suo potere,  proprio quello di rispettare i principi ordinamentali.

Tutto ciò significa che  il disposto normativo delle ordinanze in esame,  pur potendo avere  un contenuto   “contra legem”, – perché può derogare le norme vigenti – , tuttavia tale contenuto  deve essere sempre  “secundum ordinem”, perché deve rispettare i principi generali dell’ordinamento.

Tale conclusione, che trova il suo primigenio riferimento nella predetta giurisprudenza della C. Cost.,  ha ricevuto formale riconoscimento da parte del legislatore per effetto dell’art.  54, comma 4,  d.lgs. 267/2000, con riferimento ai provvedimenti sindacali. Ed invero, tale norma  riconosce,  in modo implicito, la forza  derogatoria dell’ordinanza sindacale contingibile ed urgente  imponendo al Sindaco, per l’appunto,  l’obbligo di rispettare i principi generali dell’ordinamento giuridico.

Come già sopra anticipato, la necessità di dover rispettare tali principi non  comporta  solo un ampliamento dei poteri della P.A., ma contiene anche un  limite per  la sua discrezionalità amministrativa, perché la circoscrive entro la cornice disegnata, sia per grandi linee,  dal nostro ordinamento giuridico. In tal modo, il legislatore ha voluto porre un presidio di garanzia contro possibili derive autoritaristiche della P.A. procedente  o comunque contro eventuali suoi atti  palesemente iniqui,  ingiusti  o più semplicemente inaccettabili sotto il profilo della loro conformità agli istituti generali del  diritto.

In pratica, si è in presenza di   una clausola di salvaguardia contro ogni possibile abuso, finalizzata ad  evitare che l’interesse pubblico perseguito con dette ordinanze possa essere conseguito a discapito di altri interessi pubblici (di grado pari o superiore),  ovvero a detrimento di interessi privati e senza,  peraltro, realizzare un giusto ed adeguato contemperamento con questi ultimi.

In altre parole,  per quanto la situazione contingente possa richiedere un intervento urgente della P.A., in ogni caso l’esercizio dei suoi poteri non deve mai travalicare i generali principi di diritto che sono posti a fondamento del nostro sistema giuridico.  Si fa qui riferimento  ai principi sanciti dalla Costituzione, alle norme imperative primarie, ai principi generali che regolano l’azione amministrativa ed ai  principi generali che presiedono all’ordinamento comunitario. Ma, si fa anche riferimento ai principi generali del codice civile (quali ad es. quello del neminem laedere, di buona fede, di diligenza e correttezza, ecc…), che disciplinano i  rapporti di  diritto privato, dato che il citato art. 54, comma 4, d.lgs. 267/2000 si riferisce genericamente ai “principi generali dell’ordinamento”, senza delimitare il campo del diritto (pubblico o privato) da cui dedurre tali principi.

Ovviamente, l’attività di conformazione del contenuto dispositivo dell’ordinanza contingibile ed urgente ai principi generali ordinamento giuridico deve,  necessariamente, passare per il vaglio  di un procedimento amministrativo.

Si vuole qui dire che per garantire la legittimità di detta ordinanza non è sufficiente che sussistano i presupposti sopra indicati della contingibilità e dell’urgenza, ma è anche necessario aprire un procedimento amministrativo nell’ambito del quale dovranno essere individuati ed adeguatamente valutati tutti gli interessi, pubblici e privati, che si contrappongono al perseguimento dell’interesse pubblico primario.  Ed è proprio in  questa sede procedimentale che si dovrà effettuare la composizione degli interessi in gioco,  adottando  una soluzione che,  risolvendo l’emergenza del caso concreto,  comporti  il minor sacrificio possibile per gli interessi contrastanti e la sua conformità ai principi generali dell’ordinamento giuridico.

 

 

  1. Terzo limite: efficacia temporanea dell’ordinanza.

Un terzo limite imposto dalla Corte Cost., per garantire la legittimità costituzionale delle ordinanze in questione,  richiede che la loro efficacia temporale deve essere limitata al tempo strettamente necessario per risolvere l’emergenza determinata dall’evento straordinario (sent. 8/56).

E’ proprio la  temporaneità che giustifica l’efficacia derogatoria dell’ordinanza rispetto alle  norme di legge vigenti, perché una loro  violazione stabile trasformerebbe la natura giuridica di dette  ordinanze, trasportandole dal novero degli atti amministrativi a quello degli atti normativi. Infatti, in caso di  deroga permanente delle norme vigenti,  alle ordinanze si dovrebbe riconoscere l’effetto di innovare l’ordinamento giuridico, con la conseguenza di considerarle atti aventi forza di legge (anche se non rientranti  tra le fonti del diritto). Ma, in tal caso, si verificherebbe lo sconfinamento del potere amministrativo nella sfera propria del potere legislativo, perchè si consentirebbe alla P.A. di modificare in via permanente (o comunque per un tempo prolungato)  disposizioni di legge, mediante atti amministrativi (ossia per mezzo di questa tipologia di ordinanze).

Mentre, la temporaneità della deroga, rapportata all’esclusiva  necessità di  risolvere l’emergenza, consente di salvaguardare la natura provvedimentale di tali ordinanze e quindi, per ciò stesso, la loro legittimità.

Anche la giurisprudenza amministrativa ha, costantemente,  riaffermato il  limite della temporalità  imposto al potere amministrativo, stabilendo che “…Tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili e urgenti vi è, inoltre, la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento: il carattere della contingibilità esprime l’urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in casi di pericolo attuale od imminente ed a ciò è correlata la natura necessariamente provvisoria, temporalmente limitata, di siffatti provvedimenti” (cfr. Tar Toscana, sent. 576/2015 ed in senso conforme vedi anche  Cons. Stato, III, 5.10.2011, n. 5471;)

  1. Quarto limite: motivazione dell’ordinanza.

La Corte Cost., con la sentenza n° 8/56, ha precisato che l’ordinanza deve riportare la  motivazione che spieghi il suo contenuto dispositivo.

Ciò, significa che l’ordinanza deve avere una  motivazione adeguata e sufficiente, tale da dimostrare la ricorrenza dei presupposti stabiliti dalla norma attributiva di potere per l’emanazione dell’ordinanza stessa. In pratica, la motivazione dovrà consentire di ripercorrere l’iter logico-giuridico che ha portato la P.A. procedente alla soluzione adottata con il dispositivo dell’ordinanza, consentendo altresì di cogliere  che quella soluzione risulti, realmente,  in grado di giustificare l’esercizio del potere derogatorio delle leggi vigenti,  finalizzato a tutelare lo specifico interesse pubblico messo in pericolo o leso  dall’evento straordinario (cfr. Tar Liguria, sent. 875/2015; Tar Toscana, sent. 576/2015; Tar Piemonte, sent. 46/2015).

Seguendo la comune giurisprudenza amministrativa, che si è consolidata a proposito della motivazione degli atti amministrativi,  si rileva che l’assenza ovvero l’insufficienza della  motivazione determinerebbe l’illegittimità dell’ordinanza.

In caso di assenza, l’ordinanza sarebbe illegittima   perché affetta dal vizio di violazione di legge. Infatti,  sia la sentenza 8/56 della Corte Cost. che, successivamente, anche l’art. 3 della legge 241/90  indicano  la  motivazione come requisito di legittimità per l’emanazione dell’ordinanza. Mentre, nel caso di motivazione insufficiente e/o illogica e/o contraddittoria  l’ordinanza sarebbe egualmente illegittima, ma non per violazione  di legge, bensì per eccesso di potere, rientrando nella figura sintomatica dell’illogicità del provvedimento amministrativo.

  1. Quinto limite: pubblicazione dell’ordinanza.

L’ordinanza di necessità ed urgenza, solitamente,  contiene  comandi e/o divieti,  che impongono specifici comportamenti  ai suoi destinatari. Ciò, significa che si tratta di un provvedimento restrittivo della sfera giuridica soggettiva di coloro nei cui confronti è destinata a produrre effetti e, per ciò stesso, appartiene alla categoria degli atti amministrativi ricettizi. Per tale ultima ragione, affinchè l’ordinanza produca effetti,  è necessario che sia portata a conoscenza di coloro cui è diretta.

A tal proposito, la Corte Cost. precisa che l’ordinanza deve essere soggetta a forme adeguate di pubblicazione (sent. 8/56). Evidentemente, questa decisione  della  Corte è finalizzata a garantire che un provvedimento limitativo dei diritti ed interessi altrui (qual è l’ordinanza in parola) possa avere  efficacia solo dopo che sia portato all’effettiva conoscenza dei destinatari o comunque quando ne sia garantita la sua piena conoscibilità.

In tale modo, la  formalità della pubblicazione diventa requisito di esecutività  dell’ordinanza, nel senso che la stessa, pur essendo un atto perfetto nel suo iter procedimentale, tuttavia non produrrà effetti nei confronti dei suoi destinatari  sino a quando non viene pubblicata e quindi portata alla loro effettiva conoscenza e/o conoscibilità.

Questo principio elaborato dalla Corte Cost. è stato, poi, recepito  anche dalla legge generale sul procedimento amministrativo e precisamente  dall’art. 21 bis l. 241/90, il quale,  proprio con riferimento agli atti ricettizi (cioè limitativi della sfera giuridica dei privati), stabilisce  “… Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’amministrazione provvede mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione medesima”

La norma de qua  è dettata per gli atti amministrativi in generale  e quindi trova applicazione anche per le ordinanze in esame, la cui natura giuridica di atto amministrativo è stata più volte confermata dalla C. Cost. (cfr. quanto si dirà nel successivo par.  13.). Ciò, significa che   nel caso in cui l’ordinanza sindacale di necessità ed urgenza si indirizzi a singoli destinatari ovvero ad un numero non elevato di essi (e comunque  immediatamente identificabili) la sua conoscenza si può anticipare anche mediante la  comunicazione  personale. Mentre, negli altri casi sarà necessario pubblicare l’ordinanza  affinchè sia garantita la sua conoscibilità  quisque de populo.

  1. Sesto limite: rispetto del principio di proporzionalità.

La Corte Cost., con la sentenza 201/87 e  successivamente  con la sentenza 127/95, ha precisato che l’ordinanza di necessità ed urgenza deve essere emessa nel pieno rispetto del principio di proporzionalità.

Si tratta di un principio la cui matrice risale all’elaborazione della giurisprudenza europea ed  ha fatto ingresso nel nostro ordinamento giuridico,  inizialmente,  per l’opera di  mediazione esperita dalla giurisprudenza amministrativa nazionale,  successivamente,  mediante la statuizione contenuta all’art. 1, comma 1, della l. 241/90. Quest’ultimo, proprio in merito all’esercizio dell’azione amministrativa italiana, richiama l’applicabilità  dei principi elaborati dall’ordinamento comunitario e quindi anche del principio di proporzionalità.

L’applicabilità del principio di proporzionalità alle ordinanze in questione comporta  che il loro  contenuto dispositivo deve essere proporzionato all’evento straordinario  da disciplinare.

Tale proporzionalità sussiste solo se il contenuto dell’ordinanza sarà connotato dal carattere della “necessità”,  inteso quest’ultimo nel senso che solo quella soluzione adottata dall’ordinanza avrebbe potuto permettere di  risolvere l’emergenza indotta dall’evento straordinario.  Per essere più precisi, tale requisito della “necessità” sussisterà nel solo caso in cui la soluzione adottata con l’ordinanza risulti idonea ed adeguata a risolvere l’emergenza e,  nel contempo,  comporti  il minor sacrificio possibile per gli interessi contrastanti con la stessa soluzione adottata.

Come già detto sopra (nel  precedente  paragrafo 3.), parte della dottrina e della stessa giurisprudenza amministrativa riscontrano proprio in questo principio di proporzionalità il parametro su cui si deve fondare la valutazione giurisdizionale di legittimità dell’ordinanza. Secondo questo orientamento, infatti, il rispetto del principio di proporzionalità, costituendo  uno strumento di tutela delle posizioni giuridiche soggettive di coloro che sono contro interessati all’emanazione dell’ordinanza,  diventa  il valore di riferimento su cui si deve basare il giudizio di  legittimità di tale ordinanza.

  1. La natura giuridica delle ordinanze di necessità e di urgenza.

In dottrina si riscontrano opinioni diametralmente opposte in merito alla natura giuridica di queste ordinanze.

Secondo una parte della dottrina, questa tipologia di  ordinanze avrebbe carattere normativo (cfr. es. Rescigno). In linea di massima, coloro che propendono per questa opinione la giustificano,  sostanzialmente, per due ordini di ragioni.

In primo luogo,   fanno rilevare che, a loro modo di vedere, le ordinanze in esame  contengono previsioni generali ed astratte e, quindi, per ciò stesso, esplicherebbero un effetto innovativo dell’ordinamento giuridico, effetto che si ricollega solo agli atti normativi. In secondo luogo, sottolineano  che queste ordinanze producono un effetto derogatorio della legislazione vigente (sia pure limitato nel tempo) e,  pertanto,  a tale effetto non può che ricollegarsi un carattere normativo, altrimenti non si spiegherebbe come potrebbe un atto amministrativo esperire  forza abrogatrice nei confronti di una  legge.

Questa opinione dottrinale viene contraddetta da chi, invece, sostiene  il carattere provvedimentale delle ordinanze in parola (cfr. Galli).

Questa diversa opinione dottrinale fa rilevare che, in realtà, le ordinanze in esame non contengono norme generali ed astratte. Innanzitutto, perchè si limitano a disciplinare il caso concreto imposto dall’evento straordinario e, poi, anche  perché (il più delle volte)  non si riferiscono alla generalità dei consociati, bensì a soggetti ben determinati, anche se spesso numerosi, ma sempre limitati e circoscritti nel numero. Per tale ragione, la corrente dottrinale in esame afferma che  le ordinanze in questione  non producono alcun effetto innovativo dell’ordinamento e quindi ad esse non si può riconoscere   alcuna natura normativa.

Ed ancora, questa parte della dottrina, che nega  il carattere normativo delle ordinanze di necessità ed urgenza,  fa rilevare che a sostegno di tale natura non si potrebbe nemmeno  richiamare l’effetto derogatorio che esse producono rispetto alla legislazione vigente, perché agli strumenti giuridici che producono  tale deroga non necessariamente si ricollega la natura giuridica di atti normativi. In proposito, questa speculazione dottrinale  richiama i negozi giuridici, che producono l’effetto di derogare   norme dispositive di legge, ma  tale effetto non modifica la loro natura giuridica  da atti privatistici ad atti normativi.

La Corte Cost. è più volte intervenuta su tale spinosa questione, atteso che la classificazione della natura giuridica di tali ordinanze riveste non solo un valore teorico-dogmatico, ma anche (se non soprattutto)  un importante valore pratico. Ed invero, dalla  loro natura giuridica (di atto normativo o atto amministrativo)   dipende  se esse possano  intervenire o meno su materie per le quali  la Costituzione prevede una riserva assoluta di legge.

Con una isolata sentenza (cfr. sent. n° 4/77), la Corte Cost. aveva riconosciuto il carattere normativo di tali ordinanze, precisando tuttavia che, nonostante ciò, non  erano qualificabili tra le fonti del diritto.

Ebbene, a parte questa posizione isolata, la Corte Cost. ha sempre negato la natura normativa delle ordinanze in questione,  riconoscendone invece la natura di atto amministrativo (cfr. sent. 26/61; sent. 201/87 e sent. 127/95).

Infatti, secondo la Corte Cost., queste ordinanze non producono alcun effetto innovativo dell’ordinamento giuridico, perché l’effetto derogatorio da esse prodotto sulla legislazione vigente non consiste nella modifica o abrogazione permanente delle leggi vigenti, bensì nella loro semplice disapplicazione per il tempo strettamente necessario a risolvere l’emergenza determinata dall’evento straordinario. Pertanto, per la giurisprudenza costituzionale, queste ordinanze hanno natura di atto amministrativo.

Avendo disconosciuto il carattere normativo di tali ordinanze, resta ad esse inibita la possibilità di intervenire su materie per le quali la Costituzione prevede una riserva assoluta di legge (sent. 26/61). Ed invero, per effetto di tale riserva di carattere assoluto, su tali materie possono intervenire solo atti normativi aventi peraltro forza di legge (legge formale, decreto legge, decreto legislativo), rimanendo invece  preclusa la possibilità di intervento sia  agli atti di normazione  secondaria sia, a maggior ragione,  agli atti provvedimentali,  quali sono per l’appunto queste ordinanze.

Mentre, per le materie coperte da una riserva di legge relativa,  ovvero prive di riserva di legge, le ordinanze possono essere tranquillamente emesse, purchè  ciò avvenga nel rispetto dei principi fissati dalla Corte Cost. con le sopra citate sentenze n° 8/56, n° 26/61, n° 201/87 e n° 127/95, principi  che sono stati meglio esposti ed argomentati nei precedenti paragrafi.

  1. Estensione della forza derogatoria delle ordinanze alla normativa europea.

La giurisprudenza amministrativa non ha ancora raggiunto un orientamento consolidato   in merito all’estensione della  forza derogatoria delle ordinanze in esame nei confronti dell’ordinamento comunitario.

Parte della giurisprudenza, comunque,  sembra propendere per una soluzione positiva, ritenendo che se il legislatore consente alla P.A., in presenza dei prescritti  presupposti di necessità ed urgenza, di derogare alle leggi vigenti non si vede per quale ragione tale forza derogatoria non  si debba ritenere  estesa anche alla normativa europea (cfr.  Tar Puglia, sez. II, sent. 208/97).

In verità, il problema è ben più complesso, perché la normativa europea gode del beneficio della primazìa sul diritto interno. Pertanto, in forza di tale primazìa,  si dovrebbe ritenere che la forza derogatoria delle ordinanze non potrebbe ritenersi estesa  anche alle norme europee, atteso che queste ultime prevalgono sempre sulle norme interne e quindi anche su quella  norma attributiva  di potere che, in concreto,  costituisce  la fonte legittimante della forza  derogatoria delle ordinanze.

A parere di chi scrive, si deve  ritenere che la soluzione più adeguata possa essere quella mediana tra le due posizioni estreme sopra descritte.

In verità,  si tratta di una soluzione che già si coglie tra le righe di quanto insegnato dalla copiosa giurisprudenza costituzionale,   sopra rassegnata. Come già sopra ampiamente argomentato, secondo tale insegnamento, la forza derogatoria delle ordinanze, promanante dalla norma attributiva di potere,  trova la sua più intima giustificazione nello stato di necessità determinato dall’evento straordinario  ed è, proprio,  tale  “necessità” che determina l’immanenza di una scriminante che consente  alle ordinanze di agire contra legem, ma mai contra ordinem.

In altre parole,  tenendo conto dell’insegnamento dettato dalla  Corte Cost. con riferimento al rapporto tra queste ordinanze ed il diritto interno (sopra ampiamente svolto), si deve ritenere che le ordinanze di necessità ed urgenza, alla ricorrenza dei presupposti di legge per la loro emanazione, potranno  derogare  le singole  norme di legge (contra legem), sia interne che comunitarie, ma non potranno mai derogare i principi generali che regolano l’ordinamento comunitario (secundum ordinem). Ciò, in quanto  questi principi,  per il richiamo fatto dall’art. 1, comma1,  l. 241/90, vengono connotati tra i principi imperativi cui si deve informare l’agere della P.A. italiana e quindi, per tale ragione, rientrano anche tra quei  “principi generali dell’ordinamento giuridico”, che  la stessa  Corte Cost.  pone  quale limite invalicabile per la P.A.,  nell’emanazione di tali ordinanze.