Il fermo di identificazione di polizia giudiziaria
Considerazioni preliminari.
Nel precedente numero 2/2021 di questa rivista si è già parlato della fase dell’identificazione di polizia giudiziaria.
Oggi, si ritiene opportuno proseguire la trattazione del medesimo argomento, parlando della successiva e conseguenziale fase del fermo di identificazione di polizia giudiziaria.
In proposito, però si ritiene opportuno precisare che, a breve tempo, la nostra casa editrice pubblicherà una monografia dello scrivente, integralmente dedicata agli istituti procedurali dell’identificazione e del fermo di identificazione, sia di polizia giudiziaria che di pubblica sicurezza.
Pertanto, in questa sede, per ragioni di economia espositiva, ci si soffermerà solo sul fermo di identificazione di P.G., che sarà trattato esclusivamente nei suoi istituti fondamentali. Per ogni ulteriore e necessario approfondimento, si fa rinvio alla futura pubblicazione monografica, che peraltro si occuperà:
- dell’identificazione di polizia giudiziaria;
- del fermo di identificazione di polizia giudiziaria;
- dell’identificazione di pubblica sicurezza;
- del fermo di identificazione di pubblica sicurezza.
- Preusupposti per l’esecuzione del fermo di identificazione e conseguenze giuridiche derivanti dalla loro assenza.
Avevamo lasciato la nostra trattazione al momento in cui l’indagato o il potenziale testimone acconsentivano, volontariamente, a farsi identificare.
A fronte di tale circostanza di semplice risoluzione pratica, si può, però, verificare che l’indagato ovvero il potenziale testimone rifiutino di farsi identificare, cioè non forniscano alcuna dichiarazione sulle rispettive generalità anagrafiche, ovvero forniscano dichiarazioni e/o documenti di identità rispetto ai quali ricorrono sufficienti elementi per ritenerli falsi.
In tali casi ne derivano due ordini di conseguenze giuridiche, così distinte:
- la perpetrazione di alcune fattispecie di reato;
- la ricorrenza del c.d fermo di identificazione di polizia giudiziaria.
Per l’esame delle predette figure di reato, che si configurano in caso di rifiuto a farsi identificare ovvero in caso di falsità identificative, si rinvia a quanto sarà detto nello scritto monografico.
Mentre, in questa sede viene trattato il fermo di identificazione dell’indagato e del testimone, per come questo istituto giuridico risulta disciplinato dai commi 4, 5 e 6 dell’art. 349 c.p.p. .
Ebbene, secondo quanto prevsito dall’art. 349, comma 4, c.p.p., l‘esecuzione di questa tipologia di fermo di identificazione è legittima solo quando viene a mancare la possibilità di identificare, in modo certo e completo, l’indagato e/o il potenziale testimone mediante il ricorso alle ordinarie modalità identificative, previste dallo stesso art. 349, commi 1 e 3.
In particolare, tale condizione legittimante del fermo di identificazione viene integrata quando la persona rifiuiti di farsi identificare, ovvero dichiari generalità o esibisca documenti di identità rispetto ai quali “sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità“.
Per quanto attiene al rifiuito di farsi identificare non c’è molto da dire, perchè in presenza di un tale diniego viene integrata una situazione oggettiva, che non richiede alcuna valutazione soggettiva da parte della P.G. operante, ma quest’ultima si deve solo limitare a prenderne atto e riportarla nel successivo verbale di identificazione.
Invece, in merito alla ricorrenza dei c.d. “sufficienti elementi“ per ritenere la falsità delle dichiarazioni rese e/o dei documenti esibiti, si pone l’esigenza di capire in cosa consistano tali “elementi“ e quando essi siano da ritenersi “sufficienti“.
Gli elementi cui si riferisce il 4° comma dell’art. 349 corrispondono grosso modo agli indizi. Ciò, significa che gli “elementi“ che giustificano l’esecuzione del fermo di identificazione di P.G. non necessariamente devono avere la certezza di una fonte di prova. Infatti, è sufficiente che questi “elementi“ consistano in fatti tali da far sorgere dei dubbi sulla genuinità delle dichiarazioni rese o dei documenti esibilti, anche se tali fatti non siano suscettibili di interpretazione univoca, ma di per sè potrebbero portare anche a conclusioni diametralmente opposte.
Atteso che i predetti presupposti sono espressamente richiesti dall’art. 349, comma 4, c.p.p., è preciso compito dell’operatore di P.G. verificarne la ricorrenza, prima di eseguire il fermo di identificazione, Infatti, in assenza dei suddetti presupposti, l’accompagnamento forzato in ufficio dell’indagato e del testimone costituisce una forma illegittima ed ingiustificata di restrizione della libertà personale (cfr. Cassazione penale sez. VI 30 aprile 2014 n. 18957), con tutte le annesse conseguenze di carattere penalistico, per il cui esame si fa rinvio a quanto sarà meglio esplicitato nella monografia.
- Il fermo di identificazione consiste nell’accompagnamento in ufficio della persona fermata.
Per completezza espositiva, è opportuno precisare che il citato art. 349 c.p.p. non utilizza mai la locuzione “fermo di identificazione“, ma utilizza la diversa espressione di “accompagnamento in ufficio“.
La predetta locuzione “fermo di identificazione“ viene, invece, utilizzata solo nella prassi e serve per indicare che la persona si trova in vinculis, in atttesa della sua identificazione.
Tuttavia, l’utilizzo del termine “accompagnamento“ in ufficio da parte dell’art. 349 c.p.p. non deve far ritenere che si tratti di un’attività scevra da costrizione nei confronti della persona accompagnata. Infatti, l’accompagnamento in ufficio può essere eseguito dalla polizia giudiziaria anche in forma coattiva, cioè senza il consenso della persona fermata, adottando pertanto tutti gli accorgimenti necessari per superare ogni eventuale sua resistenza. Tali accorgimenti comprendono anche l’uso delle manette, purchè ciò avvenga nei casi e secondo le regole stabilite dal legislatore, per il cui esame si rinvia all’imminente scritto monografico.
Il carattere coattivo dell’accompagnamento risulta pacifico e si desume dalla stessa formula linguistica utilizzata dall’art. 349, comma 4, per strutturare l‘istituto procedurale del fermo di identificazione. Infatti, la norma de qua stabilisce che, nei casi sopra indicati di mancata identificazione, la P.G. accompagna la persona in ufficio e qui la trattiene sino a quando non perviene alla sua identificazione. Ebbene, proprio la stretta combinazione dei due verbi <<accompagnare>> e <<trattenere>> denota, chiaramente, la ricorrenza di un’attività che viene svolta dalla P.G. anche in assenza del consenso della persona interessata. Da qui ne deriva il carattere prettamente coattivo dell’ “accompgnamento in ufficio“.
Tuttavia, per mera facilità espositiva ed in ossequio alla prassi operativa, in questa sede, al posto di “accompagnamento coattivo“, si fa uso della locuzione di “fermo di identificazione“.
- Primi adempimenti procedurali della polizia giudiziaria in caso di fermo di identificazione.
L’art. 349, commi 4, 5 e 6, c.p.p. disciplina gli adempimenti, le modalità procedurali ed i tempi che devono essere rispettati dalla P.G. quando esegue il fermo di identificazione.
In particolare, il comma 5 stabilisce che, giunta in ufficio, il primo adempimento cui deve attendere la P.G. consiste nell’informare, con immediatezza, il Pubblico Ministero di turno, precisandogli la data e l’ora dell’avvenuto accompagnamento in ufficio.
Il P.M., informato del fermo, può assumere due diverse decisioni:
- se ritiene che non ricorrano le condizioni del fermo, ordina l’immediato rilascio della persona;
- se ritiene che ne ricorrano i presupposti, non obietterà alcunché e quindi la P.G. proseguirà oltre nell’attività identificativa, mantenendo lo stato di fermo.
Per ragioni di spazio, in questa sede non è opportuno soffermarsi sulle implicazioni giuridiche sottese a tali provvedimenti del P.M. e, pertanto, si rinvia a quanto sarà detto nella monografia.
Ritornando all’esame degli adempimenti procedurali della P.G., si precisa che, avendo informato il pubblico ministero di turno dell’esecuzione del fermo, un altro importante adempimento che si impone alla P.G. è quello previsto dall’art. 386, comma 1, periodo 2°, c.p.p. . Secondo questa norma, la P.G. deve consegnare alla persona fermata una comunicazione scritta che riepiloga tutti i diritti e le facoltà di cui fruisce nell’immanenza di tale sua condizione restrittiva.
Per come si avrà modo di meglio esplicitare nello scritto monografico, sia l’infomativa al P.M. che la comunicazione scritta assolvono ad una specifica funzione di tutela dei diritti di difesa della persona fermata,
Per dovere di verità, è però necessario precisare che l’obbligo della comunicazione scritta, previsto dal citato art. 386, comma 1, c.p.p., è riferito solo al caso dell‘ arresto in flagranza di reato ed al caso del fermo di indiziato di delitto. Tuttavia, considerato che anche nel caso dell’accompagnamento coattivo finalizzato all’identificazione di P.G. si realizza una restrizione della libertà personale, si ritiene che, in forza del principio del favor libertatis, l’obbligo della comunicazione scritta di cui all’art. 386, comma 1, c.p.p. si applichi anche al fermo di identificazione.
Pertanto, ritenuta tale sua applicabilità anche al caso in esame, bisogna ulteriormente precisare che l’art. 386, comma 1, periodo 2°, e comma 1 bis, c.p.p. impone alla P.G. procedente regole ben precise per impartire al fermato i predetti avvisi difensivi.
Queste regole si possono così riassumere:
- gli avvisi, necessariamente, devono essere dati con una comunicazione scritta;
- la comunicazione deve essere redatta in forma chiara e precisa, in modo tale che possa essere compresa quisque de populo e non solo da chi abbia specifiche cognizioni tecnico-giuridiche;
- la comunicazione deve essere redatta nella lingua comprensibile alla persona fermata; pertanto, se quest’ultima non conosce la lingua italiana, deve essere tradotta nella lingua ad essa comprensibile;
- nel caso in cui non sia, prontamente, disponibile la traduzione della comunicazione nella lingua comprensibile all‘indagato, la comunicazione gli viene data oralmente, ma, non appena sarà pronta la traduzione, la stessa comunicazione gli dovrà essere data per iscritto.
Chiarite le regole da osservare nel comunicare i diritti e le facoltà difensive, non resta che riportare la loro elencazione da inserire nella comunicazione scritta.
Si ritiene, però, opportunto ribadire che i diritti e le facoltà elencate nell’art. 386, comma 1, periodo 2°, c.p.p. fanno riferimento specifico ai casi dell’arresto in flagranza di reato e del fermo di indiziato di delitto. Pertanto, detti diritti e facoltà, solo in via di interpretazione teleologica, vengono adattati al caso specifico del fermo di identificazione, perchè quest’ultimo istituto non viene richiamato dalla formulazione letterale della norma in esame tra quelli per cui è previsto l’obbligo della predetta comunicazione.
I diritti e le facoltà da inserire nella comunicazione scritta sono i seguenti:
- facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge;
- diritto di ottenere informazioni in merito all’accusa;
- diritto all’interprete ed alla traduzione di atti fondamentali;
- diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere;
- diritto di accedere agli atti sui quali si fonda il fermo;
- diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari;
- diritto di accedere all’assistenza medica di urgenza;
- diritto di essere rilasciato entro il termine massimo di 12 ore prorogabile sino a 24 ore nel caso in cui l’identificaizone risulti particoalrmente complessa, ovvero richieda l’intervento di un interprete o dell’Autorità consolare;
- diritto a ricorrere per cassazione contro ogni atto adottato nei suoi confronti.
- Modalità di identificazione della persona fermata.
Una volta che la persona fermata è condotta in ufficio, si procede alla sua identificazione.
Per giungere a tale risultato, innanzitutto, si ripetono le stesse modalità ordinarie di identificazione previste dall’art. 349 c.p.p., commi 1 e 3, per l’identificazione volontaria dell’indagato e del testimone.
Tali modalità, già esaminate nel precedente numero 2/2021, possono essere così succintamente riepilogate:
- invito all’indagato o al testimone a dichiarare le generalità e quant’altro valga per la identificazione;
- avviso all’indagato delle conseguenze penali in caso di rifiuto a farsi identificare, ovvero in caso di false generalità o di documenti di identificazione falsi;
- invito all’indagato a fornire tutte le informazioni personali previste dall’art. 21 disp. att.;
- invito all’indagato a dichiarare o eleggere il domicilio.
Questo secondo tentativo di giungere all’identificazione del fermato con le medesime modalità identicative ordinarie viene suggerito dalla diversa condizione psicologica in cui si presume che versi il fermato quando si trova nell’ufficio della P.G. procedente. In tal caso, infatti, si è portati a ritenere che il fermato, trovandosi in vinculis, sia indotto a prestare maggiore collaborazione per la sua identificazione e che quindi quelle stesse modalità ordinarie di identificazione, che non hanno avuto successo nel luogo in cui il fermato è stato rinvenuto, invece è possibile che possano sortire esito positivo in ufficio.
Qualora anche questo secondo tentativo non dovesse portare ad un esito favorevole, allora verranno eseguite nuove attività identificative, che non sono tipizzate dalla legge, ma vengono lasciate alle determinazioni richieste dal caso concreto.
Infatti, possono eseguirsi verifiche anagrafiche nel luogo di residenza o di nascita del fermato, ovvero si possono realizzare accessi agli archivi di ufficio, anche centralizzati (se esistono). Ed ancora, possono essere sentite a s.i.t. persone in grado di fornire circostanze utili per identificare il fermato, nonchè si possono assumere informazioni presso l’Autorità consolare dello Stato di appartenenza del fermato e così via.
Come si vede, si tratta di una molteplicità di attività che non possono essere individuate e standardizzate a priori, ma che saranno eseguite dalla P.G. in relazione alle esigenze concrete del momento.
Queste considerazioni valgono sia per il testimone che per l’indagato.
Tuttavia, con riferimento specifico all’indagato, l’art. 349, commi 2 e 2 bis, standardizza alcune ulteriori modalità identificative, cui però si può accedere solo nel caso in cui le predette procedure identificative di carattere ordinario non abbiano condotto alla sua identificazione. Si fa qui riferimento ai rilievi segnaletici ed agli accertamenti di carattere tecnico- medico-scientifico.
- Identificazione dell’indagato tramite rilievi segnaletici ed accertamenti.
I rilievi segnaletici e gli accertamenti tecnici, medici e scientifici sono attività di identificazione che possono essere esperite solo nei confronti dell’indagato, mentre ne rimane sempre escluso il testimone.
Sul piano prettamente logistico, queste attività identificative non possono che essere eseguite presso l’ufficio della P.G. procedente, Proprio per tale ragione, i rilievi e gli accertamenti sull’indagato vengono solitamente eseguiti nel caso in cui sia disposto il fermo di identificazione, sempre che ricorrano le condizioni di legge per il loro espletamento.
In proposito, è opportuno rilevare che l’art. 349, comma 2, c.p.p. prevede che i rilievi segnaletici e gli accertamenti sull’indagato non hanno il carattere della necessarietà, ma sono solo eventuali. Infatti, la norma in esame stabilisce che, “ove occorra”, l’indagato potrà essere sottoposto ai rilievi dattiloscopici, fotografici ed antropometrici, ovvero ad altri accertamenti (non ben specificati), tra i quali comunque il successivo comma 2 bis include anche il prelievo di capelli o della saliva.
Da tale disposto letterale della norma de qua si desume che si può ricorrere ai rilievi segnaletici ed agli accertamenti identificativi solo quando la predetta modalità ordinaria di identificazione non sia andata a buon fine, perché non è stata conseguita in alcun modo l’identificazione, ovvero perché le informazioni e/o i documenti forniti dall’indagato sulla sua identità non sembrano essere del tutto conducenti per una sua compiuta identificazione.
Atteso che il predetto comma 2 dell’art. 349 c.p.p. parla espressamente sia di rilievi che di accertamenti, è importante capire la differenza sottesa tra queste due diverse attività di identitificazione dell’indagato.
Ed invero, con i rilievi ci si limita a riprodurre il dato fenomenico così come esso si presenta, invece, con gli accertamenti lo stesso dato fenomenico (raccolto per mezzo dei rilievi) viene studiato, avvalendosi delle cognizioni derivanti da leggi mediche, scientifiche e tecniche.
Ogni ulteriore approfondimento su tale differenza e sull’esecuzione dei rilievi segnaletici viene rinviato all’imminente uscita del predetto quaderno giuridico sul fermo di identificazione, mentre in questa sede si ritiene utile trattare solo la categoria degli “accertamenti“, che di certo presenta delle peculiarità degne di trattazione immediata.
- Gli accertamenti prevsiti dall’art. 349, comma 2, c.p.p. per l’identificazione dell‘indagato.
Tra le attività che possono essere espletate dalla P.G. per identificare l’indagato vi rientrano anche gli “accertamenti“, termine che viene così seccamente utilizzato dall’art. 349, comma 2, c.p.p. .
La norma in questione si limita a richiamare la possibilità di eseguire questi accertamenti, ma non dice nulla di più, precisando solo che possono eseguirsi nei confronti dell’indagato. In tal modo esclude dal campo della loro esecuzione il potenziale testimone.
Poichè la norma non specifica cosa debba intendersi per “accertamento“, si deve ritenere che con l’ “accertamento“ sia eseguibile ogni tipologia di attività identificativa non determinabile aprioristicamente, purchè detta attività rechi insita in sè una valutazione di carattere tecnico o scientifico-discrezionale eseguita su un determinato dato storico (cristallizzato con i rilievi) in grado di consentire l’identificazione del fermato. In altre parole, questo dato storico, per mezzo dell’accertamento, viene studiato e valutato alla luce delle cognizioni offerte dalle leggi tecniche, scientifiche e mediche, al fine di pervenire all’identificazione personale del fermato.
In definitiva, l’art. 349, comma 2, c.p.p., utilizzando il termine “accertamento“, permette di eseguire ogni tipologia di verifica che presenti carattere tecnico, sanitario e scientifico e che sia in grado di far giungere all’identificazione dell‘indagato.
6.1 Accertamenti auxologici.
Tenuto conto di quanto detto nel precedente paragrafo, non c’è alcun dubbio che tra gli “accertamenti“ previsti dall’art. 349, comma 2, c.p.p. vi rientrino anche quelli di carattere auxologico. Si tratta di accertamenti medici, che vengono eseguiti nei confronti di soggetti presunti minorenni, per meglio capire se abbiano o meno raggiunto la maggiore età.
L’accertamento consiste nella valutazione della maturazione ossea del polso e della mano. Tuttavia, bisogna considerare che l’esito di questo accertamento medico non è del tutto dirimente, perchè prevede un margine di errore di circa due anni.
Come già detto, l’accertamento auxologico è di carattere medico ed è proprio per tale ragione che esso non può essere eseguito direttamente dalla P.G.. Quest’ultima, invero, si dovrà rivolgere al servizio sanitario e, se del caso, nominerà ausiliari di P.G. i medici che devono eseguire tale accertamento, ai sensi di quanto prevsito dall’art. 348, comma 4, c.p.p. .
6.2 Prelievo di capelli e/o della saliva.
Tra gli accertamenti richiamati dall’art. 349, comma 2, c.p.p. richiedono particolare attenzione quegli accertamenti di carattere tecnico-sanitario che il successivo comma 2 bis dello stesso art. 349 c.p.p. qualifica come prelievo di capelli e della saliva.
Ancora una volta, anche questa tipologia di accertamento può essere eseguita solo nei confronti dell’indagato. Pertanto, ne rimane eslcuso il potenziale testimone, a meno che quest’ultimo assuma anch’esso la posizione di indagato, per avere rifiutato l’identificazione ovvero per averla consentita in modo incerto (con documenti o dichiarazioni false).
Il prelievo di capelli o della saliva consiste nello studio di campioni di materia biologica prelevati dalla persona identificanda, studio che sarà effettuato mediante tecniche scientifiche, con le quali si cercherà di individuare il tratto biochimico caratteristico ed irripetibile di ogni persona (il D.N.A.)
L’art. 349, comma 2 bis, subordina l’espletamento di tale accertamento al rispetto di un minimo di garanzie difensive, consistenti nell’obbligo di acquisire il preventivo consenso dello stesso indagato, ovvero, in mancanza di tale consenso, nell’obbligo di ottenere la preventiva autorizzazione del Pubblico Ministero.
E’ bene precisare, subito, che l’autorizzazione del P.M. deve intervenire sempre in via preventiva e solitamente per iscritto. Tuttavia, atteso che tale accertamento interviene quasi sempre in via di urgenza, il comma 2 bis in esame prevede la possibilità che tale autorizzazione possa essere resa anche oralmente dal P.M. di turno, purchè in seguito sia confermata per iscritto.
L’art. 349, comma 2 bis, precisa che il prelievo di capelli o della saliva deve avvenire sempre nel rispetto della dignità personale. Ciò, significa che si devono evitare quelle condizioni di luogo e quelle modalità esecutive che potrebbero esporre la persona al pubblico ludibrio. In ogni caso, il rispetto della diginità personale non preclude alla P.G. operante la possibilità di eseguire tali prelievi anche in forma coattiva, per l’ipotesi in cui la persona dovesse opporrre resistenza.
Sul piano più strettamente operativo, il prelievo di capelli e/o della saliva si risolve in un accertamento di carattere tecnico-sanitario. Pertanto, la persona che vi deve essere sottoposta viene consegnata al personale sanitario che deve eseguire i prelievi dei campioni biologici. Il personale sanitario, per eseguire il predetto accertamento, potrà essere nominato ausiliario di P.G. ai sensi di quanto previsto dall’art. 348, comma 4 c.p.p., secondo cui la polizia giudiziaria, quando compie atti ed operazioni che richiedono specifiche competenze teniche, può avvalersi di persone idonee che non possono rifiutare la loro opera.
- Invito rivolto al fermato a dichiarare o eleggere il domicilio.
Una volta che si perviene all’identificazione dell’indagato, quest’ultimo, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., dovrà essere invitato a dichiarare o eleggere il domicilio.
L’art. 349 c.p.p. prevede che tale invito deve essere rivolto solo all’indagato. Tuttavia, si deve rilevare che il potenziale testimone viene sottoposto a fermo di identificazione perchè si è rifiutato di farsi identificare, ovvero perchè ha esibito documenti di identificazione falsi, ovvero per avere dichiarato false generalità. In considerazione di ciò, il potenziale testimone assume la posizione di indagato con riferimento a tali specifiche condotte identificative, che integrano fattispecie di reato.
Per tale ragione, l’invito dichiarare o eleggere il domicilio deve essere rivolto anche al potenziale testimone, che è stato fermato a causa della condotta inibitoria da lui assunta in merito alla sua identificazione.
Per chiarire la differenza tra dichiarazione ed elezione di domicilio, nonchè per individuare le loro concrete modalità esecutive si fa rinvio a quanto sarà più ampiamente detto nella futura monografia.
- Tempo di durata del fermo di identificazione di P.G. .
L’art. 349, comma 4, c.p.p. (nella sua nuova formulazione così come risulta a seguito delle modifiche introdotte con il d.l. 144/05) stabilisce che la P.G. può trattenere la persona fermata “per il tempo strettamente necessario per la identificazione e comunque non oltre le dodici ore ovvero, previo avviso al pubblico ministero, non oltre le ventiquattro ore …”.
Volendo scomporre la norma in esame nei suoi elementi costitutivi, se ne deduce che la durata del fermo di identificazione di P.G. è disciplinata da tre diversi termini, così distinti:
- “tempo strettamente necessario per la identificazione”;
- “non oltre le dodici ore”;
- “non oltre le ventiquattro ore”.
E‘ evidente come la durata del fermo di identificazione di P.G. sia disciplinata da una sequenza temporale, che si articola in una tripartizione di elementi costitutivi. Questi ultimi meritano di essere analiticamente esamati, per meglio cogliere la loro ratio teleologica.
Innanzitutto, si rileva che il legislatore, utilizzando la locuzione “per il tempo strettamente necessario per la identificazione”, impone alla P.G. l’obbligo di trattenere la persona fermata esclusivamente per il tempo che risulterà “strettamente necessario“ ad espletare gli adempimenti che portano alla sua identificazione.
Pertanto, non appena viene raggiunto tale risultato, la persona deve essere immediatamente liberata, a prescindere dal fatto che non siano ancora decorsi gli ulteriori termini di 12 ore ovvero di 24 ore. In questa ottica legislativa, i termini di 12 e 24 ore segnano, esclusivamente, i limiti massimi entro cui poter espletare le procedure di identificazione. Mentre, se queste ultime si dovessero esaurire in anticipo rispetto allo spirare di detti termini non si giustificherebbe l’ulteriore protrarsi del fermo di identificazione.
Ciò detto, a questo punto si pone la necessità di soffermarsi sugli ulteriori termini di 12 e 24 ore. In proposito, si deve sottolineare che questi due termini si differenziano per la loro diversa disciplina normativa prevista dall’art. 349.
Ed invero, il termine di 12 ore trova applicazione in via automatica, cioè senza necessità della ricorrenza di ulteriori presupposti di fatto, ovvero senza ricorrere ad ulteriori autorizazioni da parte del P.M.. Mentre, la sua eventuale proroga in 24 ore richiede la ricorrenza di specifiche condizioni (fattuali e procedurali), espressamente indicate dall’art. 349, comma 4, c.p.p.. Infatti, la norma in questione prevede la possibilità di prorogare il termine di 12 ore in 24 ore quando ricorre una delle seguenti ipotesi:
- se l’identificazione si rivela particolarmente complessa;
- se l’identificazione richiede l’assistenza dell’autorità consolare o di un interprete.
Inoltre, sempre il comma 4 dell’art. 349 stabilisce che la semplice ricorrenza di uno di questi due presupposti di fatto non comporta l’automatica proroga del termine, ma è ulteriormente necessario che la P.G. avvisi, preventivamente, il Pubblico Ministero di turno. Più precisamente, prima della scadenza delle 12 ore, la P.G. deve nuovamente rivolgersi al P.M., precisandogli, anche oralmente, le ragioni per le quali non è in grado di completare l’identificazione entro il termine di 12 ore e che pertanto ha la necessità che il fermo si prolunghi sino al termine massimo di 24 ore.
Tali ragioni, come appena detto, possono essere solo quelle tipizzate dal comma 4 dell’art. 349 e quindi consistono nella particolare complessità del caso, ovvero nella necessità di ricorrere all’autorità consolare o ad un interprete.
- La persona fermata, anche se non identificata, deve essere rilasciata allo spirare dei termini massimi di 12 o 24 ore.
Una domanda che spesso ricorre nella prassi operativa è quella volta ad accertare se sia possibile trattenere il fermato oltre i termini massimi di 12 o 24 ore, nel caso in cui non sia stata ancora raggiunta la sua identificazione.
Tenuto conto della riserva di legge stabilita dall’art. 13 Cost. in tema di restrizione della libertà personale, ne deriva che ogni limitazione di quest’ultimo bene può essere disposta solo per legge. Ciò, significa che la durata temporale del fermo di identificazione di P.G. (che gioco forza comporta una restrizione della libertà personale) può essere solo quella fissata dal legislatore con il citato art. 349 c.p.p. . Ebbene, tale norma codicistica è perentoria nello stabilire che il fermo di identificazione non si può prolungare oltre il termine di 12 ore, ovvero, in presenza di determinate condizioni, oltre il termine di 24 ore.
Da tale previsione normativa se ne deve concludere che, allo spirare dei predetti termini, non sia assolutamente possibile prolungare ulteriormente il fermo di identificazione.
Rebus sic stantibus, allo scadere dei termini in questione, non si ha più alcuna possibilità di trattenere la persona fermata e ciò anche se non sia stata ancora raggiunta la sua identificazione, a meno che il fermato si trovi in stato di arresto per flagranza di uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p., ovvero perchè versi in stato di fermo di indiziato di delitto, per le circostanze previste dall’art. 384 c.p.p. .
- Facoltà del fermato di chiedere che sia avvisato un suo familiare o convivente.
Nell’ipotesi in cui, ricorrendo le condizioni indicate nel precedente par. 8, la durata del fermo viene prorogata da 12 a 24 ore, il comma 4 dell’art. 349 c.p.p. riconosce al fermato la facoltà di chiedere che sia avvisato un familiare oppure un convivente.
La norma non precisa chi debba provvedere a tale adempimento. Però, è fuori di dubbio che vi debba provvedere la stessa polizia giudiziaria procedente, essendo l’organo che sta gestendo l’intera operazione di identificazione. Ovviamente, nel caso in cui le persone da avvisare non si trovino nello stesso luogo in cui viene eseguito il fermo, l’organo di P.G. procedente delegherà la P.G. della città in cui si trovino dette persone, ovvero l’Autorità consolare competente nel caso in cui le persone da avvisare si trovino in un altro stato.
E’ bene ricordare che con l’avviso in oggetto vengono veicolati dati sensibili, perchè le informazioni da fornire attengono alla posizione di una persona in stato di restrizione della libertà personale, rispetto alla quale è anche possibile che venga avviato un procedimento penale (se non altro, per il suo rifiuto di farsi identificare). Pertanto, ragioni di tutela della privacy richiedono di informare esclusivamente le persone specificamente indicate dallo stesso fermato, in quanto solo quest’ultimo ha facoltà di disporre di tali dati e, quindi, di farli conoscere a chi meglio crede.
- Comunicazione al P.M. dell’avvenuto rilascio della persona fermata.
Il comma 6 dell’art. 349 stabilisce che la P.G. ha l’obbligo di comunicare al Pubblico Ministero di turno la data e l’ora di rilascio della persona fermata.
La norma non prevede le modalità di tale comunicazione. Pertanto, la comunicazione potrà essere data senza alcuna formalità, cioè anche telefonicamente, Tuttavia, al fine di documentarla, è opportuno che sia trasmessa una pec al P.M., riportando in essa la data e l’ora del rilascio del fermato. Inoltre, nel verbale di identificazione bisognerà dare atto della comunicazione orale e della contestuale p.e.c. trasmessa allo stesso magistrato. In questo modo, si avrà certezza di documentare l’assolvimento dell’obbligo comunicativo imposto dal citato art. 349, comma 6, c.p.p. .
E‘ evidente come la ratio della norma sia quella di consentire al P.M. la possibilità di verificare se la P.G. abbia rispettato i termini massimi di trattenimento del fermato in ufficio, termini che sono previsti dal comma 4 dell’art. 349 c.p.p. e di cui si è già detto ampiamente nel precedente paragrafo 8.
Detto ciò, non ci si può esimere dal rilevare come quest’ultima comunicazione da dare al P.M. si inserisca in un complesso quadro comunicativo disegnato dall’art. 349 c.p.p. ed in forza del quale la P.G. è tenuta ad informare costantemente il P.M. di turno sulle attività che sta eseguendo nei confronti del fermato.
In proposito, volendo fare un riepilogo di tutte le comunicazioni da dare al P.M., se ne desume che, in pratica, ad ogni piè sospinto la P.G. deve preventivamente informare o acquisire il consenso del magistrato di turno.
Infatti, la PG. dovrà:
- informare il P.M. della data e dell’ora di inizio del fermo;
- chiedere al P.M. l’autorizzazione al prelievo di capelli e/o della saliva:
- comunicare preventivamente al P.M. la necessità di prorogare il termine del fermo da 12 a 24 ore, specificandone le ragioni;
- comunicare al P.M. la data e l’ora dell’avvenuto rilascio del fermato.
Tutto ciò dimostra la preoccupazione del legislatore di non lasciare nelle mani esclusive della P.G. l’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale (qual è il fermo di identificazione) e di sottoporlo, invece, al controllo dell’Autorità giudiziaria (per come previsto dall’art. 13 della Costituzione), sia pure per mezzo di un suo silenzio qualificato di cui si dirà più ampiamente nel successivo scritto monografico.
- Verbale di fermo di identificazione.
L’art. 357 c.p.p. stabilisce che è necessario redigere apposito verbale del fermo di identificazione, senza però prevedere quale deve essere il contenuto di detto verbale.
Pertanto, per capire cosa debba contenere il verbale di identificazione, bisogna riferirsi agli artt. 136, 137 e 142 c.p.p., che disciplinano la redazione di un qualsiasi verbale di carattere processual-penalistico.
Più esattamente, dal combinato disposto di queste norme si rileva che il paradigma legale del verbale di identificazione non può esimersi dal contenere i seguenti elementi:
- la data e l’ora di apertura e chiusura del verbale;
- le generalità dei verbalizzanti, nonchè quelle dei soggetti che hanno proceduto all’identificazione (se sono diversi dai verbalizzanti, es. ausiliari di p.g);
- l‘avviso che in caso di rifiuto a farsi identificare, ovvero nel caso che fornisca generalità o documenti falsi, incorrerà in specifiche fattispecie di reato (da riportare integralmente) e potrà essere sottoposto a fermo di identificazione;
- le dichiarazioni rese dal fermato sulla sua identità ed ogni altro elemento utile dichiarato dallo stesso fermato per la sua identificazione;
- gli estremi dei documenti di identificazizone esibiti;
- gli elementi che lasciano presupporre che le dichiarazioni rese sull’identità personale, ovvero i documenti esibiti siano falsi;
- le verifiche e gli accertamenti eseguiti dalla P.G. per identificare l’indagato (nel caso in cui questi abbia rifiutato di farsi identificare); es. assunzione a s.i.t. di persone inforamte sulla sua identità, accesso agli archivi anagrafici o d’ufficio, interlocuzioni con Autorità consolari, ecc…;
- l’eventuale esecuzione degli accertamenti auxologici;
- l’eventuale esecuzione dei rilievi segnaletici sull‘indagato;
- l’eventuale prelievo di saliva e dei capelli;
- evetuali difficoltà e/o impossibilità di giungere all’identificazione del fermato;
- invito a dichiarare o eleggere il domicilio;
- l’avviso che ha l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio che ha dichiarato o eletto;
- l’avviso che nel caso in cui non dichiari o elegga il domicilio, ovvero nel caso in cui non comunichi il mutamento del domiclio che ha dichiarato o eletto, le notifiche degli atti procedimentali saranno effettuati presso il difnesore (di ficducia ovvro, in assenza, di ufficio);
- la data e l’ora in cui il P.M. è stato avvisato dell’inizio del fermo e le modalità con le quali è stata data questa comunicazione;
- la data e l’ora in cui al P.M. è stata richiesta l’autorizzazione al prelievo di capelli e/o della saliva e le modalità con le quali è stata data questa comunicazione;
- la data e l’ora in cui al P.M. è stata comunicata la necessità di prorogare il fermo da 12 ore a 24 ore e le modalità con le quali è stata data questa comunicazione;
- la data e l’ora del rilascio del fermato e le modalità con le quali è stata data questa comunicazione al P.M.;
- l’avvenuta comunicazione al fermato dei diritti previsti dall’art. 386, comma 1, periodo 2°, p.p.;
- la sottocrizione del verbalizzante (richiesta a pena di nullità);
- la sottoscrizione della persona fermata e/o di altre perosne che hanno partecipato al compimento dell’atto.
Conclusioni.
A conclusione di questo breve scritto, si ritiene opportuno precisare che la vastità dell’argomento trattato non ha permesso di sviscerarlo in tutti i suoi aspetti giuridico-operativi.
Per tale ragione, si rinvia all’imminente uscita monografica, nella quale tutti gli argomenti qui trattati saranno più ampiamente approfonditi ed inoltre saranno studiate anche l’identificazione di P.G. e l’identificazione ed il fermo di identificazione di pubblica sicurezza. Peraltro, in aiuto all’attività operativa, alla fine di ogni argomento sarà riportato un vademecum di facile consultazione pratica, con l’annessa modulistica di riferimento.