Identità digitale e diritti della personalità on-line – I profili sostanziali di tutela

Identità digitale e diritti della personalità on-line – I profili sostanziali di tutela

Costituisce un argomento ampiamente dibattuto, in giurisprudenza, come in dottrina, quello della tutela dell’identità digitale, quale bene-valore giuridico ricompreso nell’alveo più ampio dei c.d. diritti della personalità. Si discute, in particolare, circa l’estensione ed i limiti di tale tutela, sia con riferimento alle persone fisiche, sia, per quanto in misura differente e più restrittiva, in relazione alle persone giuridiche. Seppur questa non sia la miglior sede per affrontare esaustivamente il tema, risulta comunque opportuno svolgere qualche breve premessa, al fine di meglio inquadrare il fenomeno e definirlo.

Autorevole dottrina ha affermato come l’identità sia un bene-valore giuridico connaturato alla dimensione sociale dell’individuo cui essa si riferisce, giacché “l’identità è il frutto di interazioni sociali, che si radica sì nello spazio privato, ma poi si esplicita e si precisa nello spazio pubblico” (V. Zeno-Zencovich, Identità personale, Dig. disc. priv., sez. civ., IX (Torino 1993), 301).

In tale direzione, l’identità personale ha trovato, innanzitutto, una celebre definizione nella pronuncia della Corte Costituzionale del 1994, che statuì come essa configuri il “diritto ad essere se stesso, inteso come rispetto dell’immagine di partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l’individuo” (Corte cost. 3 febbraio 1994, n. 13, in Foro it., 1994, I, 1668).

In senso analogo, come statuito in una nota sentenza della Cassazione, relativa al medico Veronesi, l’identità personale può essere configurata come “bene-valore costituito dalla proiezione sociale della personalità dell’individuo, cui si correla un interesse del soggetto ad essere rappresentato, nella vita di relazione, con la sua vera identità, e non vedere travisato il proprio patrimonio intellettuale, ideologico, etico, religioso, professionale” (Cass., 7 febbraio 1996, n. 978, in Foro it., 1996, I, 1253). L’identità non soltanto individua il soggetto cui si riferisce, bensì lo rappresenta e ne afferma la personalità individuale, quale diversa dagli altri, ma identica a sé stessa.

L’Identità digitale

Per quanto concerne l’identità digitale, essa rinvia ad un concetto duplice. In primo luogo, con tale nozione si individua generalmente l’identità personale “nella rete” o “virtuale”, come contrapposta a quella “fisica”. Al contrario, in senso più tecnico, informatico-giuridico, l’identità digitale definisce l’insieme delle informazioni e delle risorse concesse da un sistema informatico ad un particolare utilizzatore del suddetto, solitamente protette da un sistema di autenticazione.

Diritti della personalità

L’espressione “diritti della personalità” invece si riferisce a quella categoria concettuale giuridica correntemente in uso negli ordinamenti di civil law, conosciuta negli ordinamenti giuridici francese, tedesco, spagnolo e portoghese come “droits de la personnalité”, “Perso¨nlichkeitsrechte”, “derechos de la personalidad”, e “direitos de personalidade”, volta a identificare quel ventaglio di diritti soggettivi che hanno ad oggetto gli attributi della personalità, fisica ed immateriale, caratterizzato da elasticità. Difatti, i confini di tale nozione giuridica non sono statici: sono ricompresi nella stessa, per opinione comune, il diritto al nome (art. 6 c.c. ed art. 22 Cost.), all’immagine (art. 10 c.c. ed art. 96 della l. del 22 aprile 1941, n. 633), alla riservatezza ed al controllo sulla circolazione dei propri dati personali, all’onore e alla reputazione (artt. 594-595 c.p.), all’identità personale ed, infine, le facoltà morali quali previste dal diritto d’autore (artt. 20-24, 81 e 142, della l. 22 aprile 1941, n. 633). Distanziandosi da una tradizione dogmatica consolidata, una tesi dottrinale configura i diritti della personalità come diritti a contenuto misto e a natura complessa, ricomprendenti facoltà di natura personale come di natura patrimoniale. In particolare, per quanto riguarda il diritto all’immagine, una prima giurisprudenza della Corte di Cassazione configura, dalla fine degli anni ’70, una tecnica risarcitoria dello stesso, riconoscendo a tale diritto un contenuto patrimoniale effettivo, sulla base del parametro del c.d. prezzo del consenso (Cass. 10 novembre 1979, n. 5790, in Giust. civ., 1980, I, 1372; Cass. 16 aprile 1991, n. 4785 e n. 4031, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, 44; Cass. 6 febbraio 1993, n. 1503, in Giust. civ., 1994, I, 229; Cass. 10 giugno 1997, n. 5175, in Foro it., 1997, I, 2920; Cass. 11 ottobre 1997, n. 9880, in Foro it., 1998, I, 499; Cass., 1 dicembre 2004, n. 22513, in Danno e resp., 2005, 969). Come evidenziato da autorevole dottrina, da tempo, (G. Resta, Le persone fisiche e i diritti della personalità, in Tratt. Sacco, Torino, 2006, p. 489 ss.; R. Pardolesi, I diritti della personalità, in AIDA, 2005, p. 3 ss.; V. Zeno Zencovich, voce Personalità (diritti della), in Dig. Disc. priv. sez. civ., vol. XIII, Torino, UTET, 1995, p. 430 ss.), i diritti della personalità hanno costituito storicamente un cambio di paradigma, proprio per tutelare i beni immateriali frutto della creatività dei singoli, riconoscendogli un diritto di esclusiva. Per un ulteriore approfondimento, si consenta il rimando a S. Bonavita, V. Poli, La tutela civilistica della reputazione online, in Ciberspazio e diritto, 18:2, 2017, pp. 307-340.

Le persone fisiche: premesse e tutela civile

Le persone fisiche sono titolari dei diritti della personalità dalla nascita, mentre risulta dibattuta la spettanza degli stessi alle persone defunte, oltre che per le persone giuridiche e per gli enti organizzati, come si approfondirà in seguito. In questa categoria, si ricomprende il diritto all’identità e, quindi, la tutela dell’identità digitale, qui intesa nell’accezione di protezione dei profili reputazionali. Sul punto, vi è un’amplissima giurisprudenza di riferimento, data l’evoluzione del contesto socioeconomico e, soprattutto, l’avvento dei social media, che ha moltiplicato le possibilità e potenzialità di attacco, distorsioni e rischi derivanti dalla circolazione di dati, informazioni e, comunque, notizie false, offensive se non, apertamente, diffamatorie.

La lesione dell’identità digitale risulta suscettibile di tutela sostanziale, in particolare, di risarcimento del danno liquidabile in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c. In tale valutazione giudiziale, si tengono in considerazione i fattori come: la riconoscibilità del soggetto rappresentato, la divulgazione dell’immagine (o, più largamente inteso, del contenuto lesivo), dei destinatari e dell’attitudine lesiva dell’eventuale testo a corredo (cfr. Trib. Verona 26 febbraio 1996, in Studium Juris, 1995, p. 752; F. Macioce, Tutela civile della persona e identità personale, Padova, 1984, p. 7 ss). Vale il generale principio sovra esposto secondo cui il travisamento del patrimonio personale, nei suoi profili intellettuali, politici o sociali, configura una violazione del diritto all’identità personale, che assurge alla protezione costituzionale ex art. 2 Cost. (c.d. principio personalistico).

In numerose occasioni, i giudici di merito sono stati chiamati a pronunciarsi circa la suscettibilità o meno dell’identità personale ad essere riconosciuta e protetta da condotte potenzialmente diffamatorie o, comunque, offensive. Se la fase storica precedente era dominata dalla carta stampata e dalla televisione, l’attuale contesto informativo si caratterizza per l’uso continuo e pervasivo dei social media, da parte di un pubblico vasto e trasversale, consentendo in potenza una circolazione delle informazioni senza limiti di spazio se non, addirittura, di tempo. Sotteso a quest’ultima questione, vi è naturalmente il problema, sempre attuale, dell’esercizio e dell’effettività del c.d. diritto all’oblio o, comunque, del diritto alla cancellazione e alla de-indicizzazione (si consenta il rimando a S. Bonavita, Il diritto all’oblio: la giurisprudenza del Garante Privacy).

Le persone fisiche: la giurisprudenza – Passato politico non corrispondente a realtà

Dalla fine degli anni ’70, una serie di pronunce dei giudici di merito si sono occupate della tutela della reputazione con riferimento, in particolare, alla pretesa della persona fisica a non veder travisato il proprio patrimonio intellettuale e, prettamente, politico. In tal senso, si faccia riferimento alla vicenda del leader radicale Marco Pannella, al quale era stato attribuito un passato politico riconducibile a partiti di destra, seppur non riscontrabile a livello storico (Pret. Torino, 30 maggio 1979, in Giust. civ.,1980, I, 965, con nota di M. Dogliotti, Tutela dell’onore, dell’identità personale e questioni di “compatibilità”). In un’altra pronuncia di merito, i giudici si sono occupati di un caso relativo ad un’intervista di un medico, successivamente rappresentata in modo distorsivo in un filmato del MSI per finalità propagandistica (Pret. Roma, 30 maggio 1980, in Foro it., 1980, I, 2048). Sempre in relazione ad un passato politico non corrispondente a realtà, i giudici si sono pronunciati in relazione ad una condotta ascritta ad un deputato, ossia la richiesta di votare con scrutinio segreto in ordine ad un’autorizzazione a procedere, tuttavia non confermata dagli atti parlamentari (Pret. Roma, 2 giugno 1980, in Giust. civ., 1981, I, 632, con nota di M. Dogliotti, Diritto all’identità personale, garanzia di rettifica e modi di tutela).

Divulgazione dell’immagine personale non autorizzata

Numerosi tribunali ordinari si sono pronunciati rispetto alla divulgazione dell’immagine personale non autorizzata, in particolare, accordando una tutela risarcitoria per il conseguente danno non patrimoniale alle parti lese. Tali pronunce, dei primi anni ‘2000, per concedere tale tutela hanno fatto riferimento all’oramai abrogata legge 675 del 1996, recanti norme per la tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali (cfr. Trib. Milano, 13 aprile 2000; Trib. Orvieto, 23 novembre 2002; Trib. Roma, 10 gennaio 2003; Trib. Roma, 22 novembre 2002; Trib. Roma, 28 febbraio 2003; Trib. Milano 9 gennaio 2004).

La protezione delle persone fisiche da eventuali diffusioni non autorizzate delle proprie immagini personali discende, naturalmente, anche dall’applicazione dell’art. 10 c.c., in combinato disposto con le disposizioni del diritto d’autore italiano, in particolare, gli artt. 96 e 97 della l. 633 del 1941. L’art. 10 c.c. dispone che l’interessato, su richiesta, può pretendere la cessazione dell’esposizione o della pubblicazione dell’immagine personale fuori dai casi consentiti dalla legge, oppure con pregiudizio al decoro o alla reputazione personale. Le medesime richieste possono essere avanzate anche in ordine ai genitori, al coniuge o ai figli dell’interessato. Ai sensi dell’art. 96 della legge sul diritto d’autore, l’immagine di una persona non deve essere esposta, pubblicata o messa in commercio senza la sua autorizzazione, mentre l’art. 97 ne consente la riproduzione, se giustificata dalla notorietà, dall’ufficio pubblico ricoperto, da necessità di giustizia o polizia, da scopi scientifici, didattici e culturali o dal collegamento con fatti di interesse pubblico, purché l’onore, la reputazione o il decoro della persona ritratta non sia leso. Come si evince dalla ratio della norma, il legislatore ha riconosciuto il diritto all’immagine, ricompreso nell’alveo dei diritti della personalità, in capo al soggetto ritratto, condizionando l’esercizio del diritto d’autore al consenso del titolare di quest’ultimo diritto. Sul tema, è interessante una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione che, in relazione a persone fisiche “notorie”, configura comunque la lecita divulgazione dell’immagine soltanto qualora questa sia strettamente connessa ad esigenze di pubblica informazione, seppur in senso lato (cfr. Cass. civ. sentenza n. 1475/1991). Come recentemente precisato da una pronuncia della Corte di Cassazione, l’esimente del “pubblico interesse” ex art. 97 deve essere intesa nel senso che, non essendo sufficiente la sussistenza di un diritto di cronaca in ordine alla vicenda, è necessaria la sussistenza di un interesse specifico ed autonomo alla conoscenza delle fattezze del soggetto ritratto (Cass. civ. sez. I, 09/07/2018, n. 18006, in cui i giudici supremi hanno anche ravvisato nella condotta del giornalista che aveva intervistato un notaio riprendendolo con telecamere nascoste una violazione della normativa del trattamento dei dati personali, alla luce dell’essenzialità della divulgazione ai fini della completezza e correttezza dell’informazione fornita). Un’impostazione analoga si riscontra anche a livello europeo (cfr. Corte EDU, Von Hannover c. Germania, n. 59320/00, del 24 giugno 2004, in cui la Corte EDU reitera l’importanza fondamentale di proteggere la vita privata ex art. 8 della Convenzione CEDU dalla prospettiva dello sviluppo della personalità umana di ciascuno, ivi incluse le persone note al pubblico).

La questione della divulgazione di immagini personali è stata poi affrontata in relazione alla disciplina della protezione dei dati personali ed al coordinamento della stessa con le vigenti normative settoriali sui diritti della personalità da vari giudici di merito, in relazione a casi di violazione dei diritti della personalità in rete (cfr., tra le varie, Trib. Bari, 13 giugno 2006, in Dir. Internet, 2006, 563, con nota di L. Trucco, Pubblicazione d’immagini personali in Rete e responsabilità del provider; Trib. Roma, 12 marzo 2004, in Danno e resp., 2005, 879, con nota di B. Tassone, Diritto all’immagine: fra uso non autorizzato del ritratto e lesione della privacy; Trib. Roma 28 febbraio 2003).

I giudici di merito di Milano si sono pronunciati recentemente sul tema dei diritti relativi all’uso del nome, dello pseudonimo, dell’immagine personale, del ritratto e, naturalmente, dell’identità personale, nonché i connessi diritti di sfruttamento economico, nella nota vicenda che ha coinvolto l’attrice e modella Elisabetta Canalis (Tribunale di Milano, sez. impresa, n. 6355/2018 del 06/06/2018). Nel caso di specie, la società convenuta aveva continuato ad utilizzare, senza l’autorizzazione della donna, le fotografie realizzate in esecuzione di un contratto – giunto a termine e non rinnovato – concluso per lo sfruttamento esclusivo dell’immagine e del nome della stessa. In particolare, la società convenuta non soltanto aveva mantenuto tali immagini sul proprio sito web, bensì aveva pubblicato sullo stesso 31 immagini ritraenti la modella elaborate senza autorizzazione, così da svilirne la persona rappresentata, poiché ne erano stati eliminati il volto ed i tatuaggi. Oltre a ciò, la società convenuta aveva mantenuto anche fotografie e video rappresentanti la testimonial sul proprio account di Facebook. La convenuta aveva altresì continuato ad utilizzare il nome di “ELI” (palese diminutivo dello pseudonimo conosciuto al pubblico) per sponsorizzare una propria linea di abbigliamento intimo femminile, precludendone così lo sfruttamento economico dell’immagine e del nome nel settore commerciale di riferimento, oltre che ledendone i diritti di immagine mediante la manomissione delle fotografie. A fronte dell’argomentazione relativa all’uso di “mere immagini tecniche, nelle quali la modella ritratta è stata resa irriconoscibile” addotta dalla convenuta, i giudici di merito hanno, al contrario, affermato come sia pretestuosa, perché Elisabetta Canalis risultava perfettamente riconoscibile dal pubblico dei consumatori tramite quelle immagini, costituenti “un atto gravemente abusivo dell’immagine della “persona””. Sul punto, i giudici approfondiscono, stabilendo come “la manipolazione delle foto mediante il taglio del volto […] e l’eliminazione di quelle caratteristiche impresse dalla sig. Canalis permanentemente sul corpo […] con l’intento, evidentemente, di conferire allo stesso nonché alla sua immagine un’identità specifica e unica della “persona””, oltre a costituire dei goffi tentativi di non incorrere nella violazione dei limiti imposti dal contratto, rappresenta una mercificazione della persona dell’attrice, trattata “alla stregua di un manichino”. Integrate tanto la fattispecie di illecito ex art. 2043 c.c., a pregiudizio della sig. Canalis, la cui persona risultava svilita e mercificata, quanto la violazione degli artt. 10 c.c., 96 e 97 della l. 633 del 1941, il Tribunale accorda la tutela inibitoria al fine di far cessare immediatamente qualsivoglia uso del nome o dello pseudonimo “ELI”, nonché rimuovere senza indugio ogni immagine, ritratto o video della rappresentata, oltre che condanna al pagamento del danno morale all’attrice, determinato con il criterio del c.d. giusto prezzo del consenso (Cass. 11 maggio 2010 n. 11353; Cass. 16 maggio 2008, n. 12433; cfr. anche giurisprudenza di merito App. Milano, 10.5.1996 in Dir Autore, 1996, 322).

Illiceità dell’uso del nome quale domain name

Una serie di pronunce di merito, sempre risalenti ai primi anni ‘2000, hanno accordato tutela a casi di illiceità del nome personale utilizzato come domain name sempre sulla base della citata legge 675 del 1996 (cfr. in tal senso Trib. Torino, 13 gennaio 2004).

Lesione dell’identità a mezzo social network

Con l’avvento dei social media, si sono moltiplicate le possibilità di attentare all’identità personale della persona fisica, pertanto, i giudici di merito hanno avuto modo di pronunciarsi, in numerose occasioni, sulla lesione dell’identità personale e, quindi, dei diritti della personalità a mezzo social network. Tali violazioni possono realizzarsi, concretamente, grazie alle funzionalità delle piattaforme online (o, più correttamente, hosting service provider, fornitori di servizi di memorizzazione) che consentono agli utenti di creare contenuti digitali in formato testuale, visivo, vocale (ad es. post, commenti, immagini, video, audio) e diffonderli, sia con account personale, sia mediante la creazione di profili digitali falsi.

In una delle prime pronunce sul tema, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito all’utilizzo di un profilo falso creato con la finalità di recare molestie e diffamare la parte offesa “per interposta persona”, in una piattaforma online volta a facilitare incontri tramite chat a contenuto erotico (Cass. pen. sez. I, 23 novembre 2011, n. 47667, in Diritto penale contemporaneo, con nota di M. Piazza, Un recente arresto della Cassazione in tema di molestia o disturbo alle persone: alcuni spunti di riflessione). In particolare, la ricorrente lamentava di essere stata raggiunta da molteplici telefonate, nonché da messaggi di utenti a sfondo sessuale, comportanti una lesione dell’onore e del decoro personale. Allora, tale fattispecie veniva ricondotta ad una violazione dei diritti della personalità mentre, allo stato dell’arte attuale, tale condotta potrebbe altresì integrare il reato di cyberstalking di cui all’art. 612-bis c.p.

In un’altra occasione, la Corte di Cassazione (Cass. 1° dicembre 2015, n. 24431) ha stabilito che creare un commento al fine di pubblicarlo sulla bacheca di un social network significa imprimere al suddetto messaggio una possibilità di diffusione potenzialmente capace di ledere la reputazione in maniera esponenziale, poiché in grado di raggiungere un numero indeterminato di utenti iscritti alla piattaforma. Dunque, qualora tale contenuto integrasse i requisiti dell’affermazione diffamatoria ex art. 595 c.p., dovrebbe ritenersi configurata la fattispecie di reato aggravata. Tale impostazione è stata confermata anche in pronunce successive della medesima Corte (cfr. in senso analogo Cass. pen. 2 dicembre 2016, con nota di F. Valerini, Confermata l’aggravante della diffamazione per chi offende postando messaggi su Facebook; Cass. pen. 22 aprile 2016 n. 34450). Sulla capacità di diffusione di contenuti a mezzo social network ha avuto occasione di pronunciarsi anche la giurisprudenza amministrativa, in specie, il T.A.R. di Trieste, che ha equiparato, seppur con alcuni limiti, ad un sito pubblico la piattaforma – nella fattispecie Facebook – che comporti una possibile divulgazione del materiale pubblicato sull’account del ricorrente ad un numero imprecisato e non prevedibile di utenti (T.A.R. Trieste, Friuli-Venezia Giulia, 12 dicembre 2016).

Diritto all’oblio

La giurisprudenza relativa al diritto all’oblio è amplissima. Con particolare riferimento al rapporto tra questi citati diritti ed i c.d. diritti della personalità, ivi inclusi il diritto all’identità personale, non si può fare a meno di richiamare una storica pronuncia della Cassazione nella quale è stata chiamata a bilanciare il diritto all’informazione con il diritto fondamentale alla riservatezza. In tale valutazione, la Suprema Corte ha stabilito che se l’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione di cui all’art. 21 Cost. rappresenta un limite al diritto fondamentale alla riservatezza, il soggetto al quale appartengono i dati è titolare del diritto all’oblio, che viene definito come quel diritto a non veder ulteriormente divulgate delle notizie che risultano oramai dimenticate ed ignote alla generalità dei consociati, tenuto in considerazione il trascorrere del tempo (Cassazione civile, sez. III, sentenza 05/04/2012 n. 5525). Dunque, ai fini di tutelare l’identità sociale del soggetto a cui si riferisce la notizia di cronaca, è necessario garantirgli un aggiornamento della stessa, nel senso di un’integrazione od un collegamento ad ulteriori e successive informazioni pubblicate relative allo sviluppo della vicenda narrata.

Come evidenziato da autorevole dottrina italiana, una notizia fruibile da un numero indeterminato di consociati a mezzo Internet produce una lesione dell’identità personale, pertanto, una volta riconosciuta tale lesione è necessaria la pubblicazione di una nuova informazione al fine di attualizzare, completare e contestualizzare la verità storica (cfr. commento di Finocchiaro, Identità personale cit., 383 s., e a 394: «gli archivi storici rimangono intatti, ma alla notizia che, fruibile in Rete, produca una lesione dell’identità personale, verificata la lesione, deve essere associata l’informazione che attualizzi, completi e contestualizzi la verità storica»).

Successivamente, tale diritto ha trovato pieno riconoscimento nel Regolamento 2016/679 UE (c.d. GDPR) ex art. 17, ai sensi del quale i dati personali che non siano più necessari in relazione alle finalità per cui sono stati raccolti o comunque trattati devono essere cancellati dal titolare senza indebito ritardo se l’interessato ha revocato il proprio consenso od obietta a tali attività di trattamento che lo riguardino o laddove il trattamento dei dati non sia comunque conforme alle norme del regolamento (cfr. Considerando 65). Trattasi, ad ogni modo, di un diritto non assoluto, bensì soggetto ad un bilanciamento con altri diritti ed interessi in relazione al caso concreto.

In una recente pronuncia di legittimità (cfr. Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella sentenza del 22 luglio 2019, n. 19681), sul tema del rapporto tra il diritto all’oblio ed il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende passate, la Corte di Cassazione ha chiarito come sia compito del giudice di merito valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti.

Diritto alla de-indicizzazione

Come noto, il diritto alla deindicizzazione ha trovato riconoscimento nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, nella celebre pronuncia Google Spain (Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 13 maggio 2014, Google Spain SL e Google Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González, Causa C‑131/12). Risulta opportuno operare un distinguo rispetto all’approfondito “diritto all’oblio”, configurandosi la de-indicizzazione come quella domanda volta a richiedere al motore di ricerca di non mettere più a disposizione degli utenti finali il contenuto controverso secondo il determinato ordine di preferenza determinato dall’algoritmo impiegato. Difatti, il motore di ricerca si qualifica quale titolare di una autonoma attività di trattamento rispetto a quella posta in essere dal soggetto che pubblica il contenuto su Internet. Come si evince dalla pronuncia della CGUE, il diritto alla deindicizzazione è funzionale alla tutela dell’identità personale, alla sua corretta affermazione e proiezione nella sfera sociale.

In tal senso, è illuminante una pronuncia di merito del Tribunale di Milano, che ha statuito come la richiesta di deindicizzazione di una notizia costituisca un aspetto funzionale del diritto all’identità personale, essendo la richiesta dell’interessato volta ad ottenere la coerenza dei dati con l’effettiva identità personale e morale (Trib. Milano 24/09/2016, Dir inf. e inform., 2016, 539).

In relazione al provvedimento volto a richiedere la rimozione di un articolo di stampa ritenuto diffamatorio, nonché per ottenerne la deindicizzazione presso il motore di ricerca, i giudici di merito ne hanno riconosciuto l’ammissibilità, per mezzo del ricorso promosso ai sensi dell’art. 700 c.p.c. (Tribunale Napoli sez. II, 18/02/2015, n. 1184).

Per quanto concerne il rapporto tra la deindicizzazione e il risarcimento dei danni, la giurisprudenza di legittimità ha giudicato contrario al principio dell’essenzialità dell’informazione il perdurare della disponibilità in rete dell’articolo dopo la diffida e sino alla deindicizzazione, riconoscendo in capo agli attori il diritto alla cancellazione dell’articolo, oltre al risarcimento dei danni (Cass. civ. sez. I, 24/06/2016, n.13161). Nel caso di specie, il contenuto controverso, ossia un articolo di cronaca giudiziaria relativo ad un procedimento penale in attesa di definizione, era rimasto facilmente accessibile anche in data successiva alla diffida promossa dal segnalante.

Garante Privacy

L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali italiana, fin dai suoi primi provvedimenti sul tema, si è rivelata estremamente sensibile al rapporto tra il diritto di cancellazione in capo all’interessato ed il diritto all’identità personale ed alla reputazione su Internet, anche c.d. web reputation, sotto i profili più svariati. In un primissimo provvedimento del 1999, il Garante ha rigettato la richiesta di cancellazione dei dati personali relativi al battesimo dell’interessato affermando tuttavia in linea di principio la possibilità di ottenere all’ integrazione dei dati medesimi. Pertanto, seppure non sia stata accordata la cancellazione si riconosce all’ interessato il diritto all’integrazione dell’informazione come garanzia a non vedere il proprio patrimonio intellettuale travisato (cfr. il Provv. 13 settembre 1999, in Boll., n. 9 giugno 1999, 94 [doc. web n. 1090502]). In senso analogo, si faccia riferimento ad un successivo provvedimento del 2002 dell’Autorità (Provv. 10 ottobre 2002, in Boll., n. 32 ottobre 2002, 3, [doc. web. n. 1066415]), in cui viene ribadito come “l’aspirazione degli interessati a veder correttamente rappresentata la propria immagine in relazione alle proprie convinzioni originarie o sopravvenute, può … essere soddisfatta…” attraverso “ad esempio, una semplice annotazione a margine del dato da rettificarsi…”, ferma restando la documentazione del fatto storico dell’avvenuto battesimo (cfr. in tal senso anche Trib. Padova sez. I civ. n. 3531/99 RG del 26 maggio 2000).

In relazione ad un caso di diffusione di immagini relative ad una puntata della trasmissione “Un giorno in Pretura”, l’Autorità Garante ha considerato come non fossero state adottate le opportune cautele per la segnalante al fine di non renderla identificabile, in violazione del requisito di essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico (cfr. Provvedimento del 7 luglio 2005, in Boll. n. 63 luglio 2005, [doc web n. 1148642]). Significativamente, il Garante insiste sulla lesione del diritto dell’interessata a vedere rispettata la propria dimensione sociale e affettiva come definitasi successivamente alla delicata vicenda giudiziaria ripresa in televisione, specialmente in riferimento al proprio diritto all’identità personale, nonché al diritto alla protezione dei dati personali – ex art. 11, comma 1, lett. e) del d.lgs. 196/2003 vigente all’epoca.

Specialmente negli ultimi anni, l’Autorità Garante si è altresì pronunciata in relazione a numerosi casi di lesione dell’identità personale, in particolare della reputazione personale, a mezzo Internet e social media.

In un provvedimento del giugno 2019, richiamando altresì le linee guida adottate dal Gruppo di Lavoro Article 29 WP (“Linee Guida sui criteri di de-listing” adottate il 26 novembre 2014 dal WP Art. 29, parte II, punto 4), il Garante ha evidenziato come delle informazioni non comprovate da alcuna indagine giudiziaria, né riscontrabili in alcuna denuncia avanzata nei confronti del segnalante, fossero palesemente inesatti e fuorvianti, in violazione delle predette linee guida, costituendo dunque delle affermazioni del tutto infondate, gravemente lesive e diffamatorie, pertanto, legittimamente oggetto di richiesta di de-indicizzazione (Cfr. Provvedimento del 12 giugno 2019 [9126859]). Il caso di specie riguardava la violazione della reputazione personale e professionale conseguente alla diffusione di contenuti reperibili tramite gli URL segnalati dall’interessato, un professore universitario di psicologia descritto come “accademico uso a relazioni sessuali (anche multiple e/o di gruppo) con studentesse e incline ad abusare della propria posizione professionale per ottenere prestazioni sessuali da soggetti non consenzienti”. Sempre in un caso riguardante la reputazione personale e professionale, in cui veniva lamentato un pregiudizio derivante dalla permanenza in rete di informazioni obsolete su una vicenda giudiziaria oramai definita da pronuncia, il Garante ha tenuto conto di vari elementi, tra cui il tempo decorso dai fatti, come la concessione della sospensione condizionale della pena, della riabilitazione, nonché dell’assenza di cariche pubbliche rivestite dal soggetto, pertanto, accordando la tutela richiesta (Provvedimento del 24 luglio 2019 [9136842]). In senso analogo, l’Autorità si è occupata di una richiesta avanzata da un soggetto che lamentava un pregiudizio alla propria reputazione personale, dovuta alla permanenza nella rete di informazioni oramai datate e inerenti a una professione non più svolta da tempo (Provvedimento del 19 settembre 2019 [9164491]). In un provvedimento simile, il Garante si è pronunciato in ordine ad una richiesta relativa alla violazione della reputazione personale e professionale derivante dalla permanenza in rete di informazioni ormai risalenti nel tempo ed in parte inesatte, peraltro in contrasto con il principio della presunzione di innocenza, poiché veniva attribuita una qualche responsabilità penale all’interessato, seppur non si fosse concluso definitivamente il procedimento penale pendente (Provvedimento del 27 novembre 2019 [9236677]).

In un altro provvedimento di ottobre 2019, il Garante ha accolto la richiesta di de-indicizzazione di contenuti (in specie, articoli di giornali web) reperibili tramite URL rispetto ai quali il titolare non aveva rispettato la richiesta di rimozione avanzata dall’interessato, seppur gli fosse riconosciuto, automaticamente, il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale (Provvedimento del 31 ottobre 2019 [9207856]).

In tempi più recenti, infine, l’Autorità Garante ha continuato ad affrontare il tema della lesione dei diritti della personalità, ivi incluso il diritto all’identità personale, degli interessati, in ottica divulgativa, specialmente a fronte dell’avvento di nuove tecnologie, capaci di poter travisare pericolosamente il patrimonio personale, in combinazione con il potenziale diffusivo dei social network, divenuti una presenza quotidiana nella vita dei consociati (cfr. Deepfake: dal Garante una scheda informativa sui rischi dell’uso malevolo di questa nuova tecnologia, 28 dicembre 2020, [9512278]).

Le persone giuridiche

Come anticipato in precedenza, è questione discussa la titolarità dei diritti della personalità in capo alle persone giuridiche nonché agli enti organizzati. In numerose occasioni i giudici di merito sono stati chiamati a pronunciarsi in ordine alla violazione del nome, della reputazione, dell’identità personale, oltre che dell’immagine di persone giuridiche e di enti organizzati.

L’immagine decontestualizzata di partiti e gruppi politici

In una celebre pronuncia dei giudici di merito romani, è stata affrontata la questione relativa alla riproduzione decontestualizzata di alcune affermazioni del politico Palmiro Togliatti tramite un manifesto antidivorzista, che aveva indotto il pubblico a ritenere falsamente che il Partito Comunista Italiano avesse adottato una linea politica contraria al divorzio (Pret. Roma, 7 maggio 1974, in Foro it., 1974, I, 3227). Un’altra prima pronuncia di merito sulla questione riguardava invece l’uso dell’immagine di una coppia nel contesto della propaganda promossa dal comitato per l’abrogazione della legge sul divorzio (cfr. Pret. Roma, 6 maggio 1974, in Foro it., 1974, I, 1806).

La configurabilità del risarcimento del danno non patrimoniale per le persone giuridiche

Circa la configurabilità del risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla lesione dell’identità della persona giuridica, è utile fare riferimento ad una pronuncia della Corte di Cassazione, sezione lavoro, (Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 1° ottobre 2013 n. 22396), che ritiene configurata la liceità del licenziamento di un dipendente che aveva offeso la rappresentante legale dell’azienda, apostrofandola come “mentecatta” e “pazzoide”, nonché accusandola di essere “una ditta di m… dalla quale tutti i dipendenti fanno a gara per andarsene”. Nella pronuncia, la Suprema Corte, secondo giurisprudenza costante, afferma che è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale se il fatto lesivo incide su una situazione giuridica della persona giuridica equivalente ai diritti fondamentali riconosciuti alla persona fisica dalla Costituzione, ivi incluso il diritto all’immagine. I giudici inoltre stabiliscono come, oltre al danno patrimoniale, se integrato e dimostrato, sia risarcibile anche il danno non patrimoniale, inteso come il c.d. danno conseguenza, dovuto alla diminuzione della considerazione della persona giuridica, sia sotto il profilo dell’incidenza negativa che tale diminuzione comporta, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere, o nei settori o nelle categorie afferenti, con cui la persona giuridica interagisce normalmente (in senso analogo, cfr. Cass. n. 12929/2007; Cass. n. 4542/2012).

Tale principio generale trova applicazione anche in riferimento agli enti pubblici, pertanto, con riguardo alla violazione dell’immagine della Pubblica Amministrazione. In tal senso, cfr. da ultimo Cons. St. 3 novembre 2016, n. 4615 (cfr. per approfondire i diritti della personalità delle persone giuridiche, A. Zoppini, I diritti della personalità delle persone giuridiche (e dei gruppi organizzati), in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 851 ss.).

Sovrapposizioni con la tutela della proprietà intellettuale ed industriale

Come commentato da autorevole dottrina (G. Resta, Diritti della personalità: problemi e prospettive, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, anno XXII, fasc. 6, 2007), la giurisprudenza italiana si è occupata di numerosi casi relativi all’identità di persone giuridiche come partiti politici, enti pubblici e anche di gruppi musicali allorché una pluralità di soggetti in controversia rivendicavano la titolarità dell’identità dell’ente, avanzando la pretesa del diritto di esclusiva sui relativi segni distintivi e l’esperibilità dei connessi strumenti di tutela. L’atteggiamento della giurisprudenza rispetto alla configurabilità dei diritti della personalità in capo alle persone giuridiche è prevalentemente positivo, seppur nei limiti consentiti dalla particolare natura del soggetto (cfr. per un’analisi approfondita Fusaro, I diritti della personalità dei soggetti collettivi, Padova, 2002). In questi orientamenti giurisprudenziali, la tesi prevalente appare essere quella funzionalistica, ossia vengono accordati strumenti di tutela non tanto volti a tutelare una supposta dignità della persona giuridica bensì a proteggerne la funzione intesa come il fine istituzionale della stessa. In quest’ultima nozione si ritrova, quindi, il fondamento come il limite della tutela personalistica delle persone giuridiche.

È opportuno, inoltre, considerare come la tutela dei diritti della personalità delle persone giuridiche trovi un importante riconoscimento nella disciplina della proprietà intellettuale ed industriale. Pertanto, si può parlare a tutti gli effetti di una sovrapponibilità tra la protezione del diritto al nome e le tutele dei segni identificativi, argomento affrontato nella giurisprudenza di merito. In una pronuncia relativa ad un gruppo musicale, è stato stabilito come l’usoconfusorio della denominazione della band ancora in attività da parte di un ex componente costituisce una violazione del diritto al nome, di cui è titolare il gruppo stesso, configurato come un autonomo centro di imputazione di interessi, equiparato ai suoi componenti attuali. I giudici di merito hanno, così, accordato l’inibitoria, avendo riconosciuto la confusione, in accoglimento della richiesta dei componenti del gruppo (cfr. Trib. Napoli, 6 agosto 2015, n. 11019).

In relazione alla possibile coincidenza tra la tutela del nome e la tutela del marchio, quindi, la tutela della concorrenza è stato affermato dalla Suprema Corte come non sia consentito registrare oppure utilizzare, sotto qualsiasi forma e sostanza, un marchio riproducente il patronimico del marchio anteriore proprio per prevenire il rischio di confusione pubblica tra le diverse attività economiche (Cass., 6 novembre 2014, n. 23648). La Corte di Cassazione ha, dunque, riformato la sentenza di merito che seppure avesse disposto l’inibizione alla continuazione deluso dell’ulteriore marchio patronimico, consentiva in ogni caso l’uso del cognome come marchio in relazione a nome dell’imprenditore con una maggiore rilevanza grafica, visiva e fonetica.

La questione della protezione dell’identità della persona giuridica come ricompresa tra i diritti della personalità ad essa riferibili – in parziale, se non totale, coincidenza con le tutele esperibili della disciplina della proprietà intellettuale ed industriale – attualmente sta riemergendo con rinnovata importanza in un contesto informativo di web 2.0 dominato dall’uso dei social media.

La tutela del brand, della web reputation come asset intangibile

Nel contesto attuale, la tutela dell’identità della persona giuridica online costituisce al contempo una protezione del brand della stessa, pertanto, si configura come vero e proprio asset intangibile. I temi sottesi a questa problematica si sono riproposti anche in giurisprudenza, con riferimento alla tutela della reputazione della persona giuridica all’interno dei sistemi reputazionali (c.d. web reputation system).

In Italia, i giudici di merito si sono occupati di casi relativi alla lesione della reputazione tramite TripAdvisor. In un’ordinanza resa in un procedimento cautelare promosso ex art. 700 c.p.c., il Tribunale di Venezia, dopo aver attentamente esaminato la natura ed il funzionamento della piattaforma, oltre ad aver configurato la responsabilità dell’autore della recensione controversa, argomenta la possibile corresponsabilità di TripAdvisor stessa (cfr. Tribunale di Venezia, ordinanza del 24 febbraio 2015). In questa sede, il giudice di merito ha ritenuto che la recensione pubblicata sul profilo di un ristorante recasse un contenuto diffamatorio e non veritiero e, pertanto, ha accolto la pretesa avanzata dal ristoratore, ordinando alla piattaforma la rimozione dei contenuti lesivi (cfr. per un ulteriore approfondimento su TripAdvisor, L. Vizzoni, Recensioni genuine su TripAdvisor: quali responsabilità? Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 2, 1 febbraio 2018, p. 706). Per operare un confronto, anche la Corte di Cassazione tedesca si è occupata della questione della lesione della reputazione delle persone giuridiche a mezzo di sistemi di rating online (cfr. BGH, 23 settembre 2014 – VI ZR 358/13, con commento di G. Giannone Codiglione, Reputazione on line, sistemi di rating e anonimato in una recente decisione della corte di cassazione tedesca, in Dir. inf., fasc. 1, 2015, p. 169 ss.).

Come analizzato, le persone giuridiche sono suscettibili di vedere la propria identità online travisata e lesa dalla diffusione di notizie non veritiere. Pertanto, non si può fare a meno di accennare, brevemente, in questa sede al tema delle c.d. fake news in ambito commerciale ed industriale (cfr. G. Ziccardi, S. Bonavita, A. Barchiesti, Fake news in ambito commerciale ed industriale, conferenza organizzata da ISLC e Reputation Manager). Con l’espressione “fake news” si identifica una fattispecie speciale, nella quale la trasmissione delle informazioni a mezzo Internet svolge un ruolo determinante, connotando in modo essenziale la notizia stessa. Tali notizie, essendo di solito caratterizzate da un testo molto breve, sono lette con rapidità, senza approfondire, dagli utenti ed eventualmente ri-condivise da questi ultimi, con ulteriori commenti. Potendo distorcere la rappresentazione dei fatti e delle persone, queste possono comportare delle conseguenze giuridiche, in particolare, costituiscono fonte di responsabilità civile qualora cagionino un danno ingiusto. Basti pensare ai danni che una fake news potrebbe provocare ad una persona giuridica qualora qualcuno immetta nella rete informazioni false e diffamatorie relative ai prodotti o servizi offerti dalla stessa, così incidendo sull’identità e la reputazione, sul marchio e, quindi, sulla concorrenza. Rilevano, ancora una volta, le regole della disciplina della proprietà industriale ed intellettuale, oltre che la tutela della concorrenza. Ritornando all’esempio di TripAdvisor ed, in generale, dei sistemi di rating online, potendo l’utente, in qualità non di mero fruitore passivo di notizie, bensì di attivo creatore di contenuti, produrre e condividere delle informazioni, potenzialmente false, così alterano il comportamento economico, oltre che influenzando le scelte di altri consumatori, in spregio dell’identità della persona giuridica.

In una storica sentenza, sempre relativa a TripAdvisor (Tribunale di Lecce, 12 settembre 2018), i giudici di merito hanno condannato per truffa un soggetto che vendeva pacchetti di recensioni false agli imprenditori del settore alberghiero all’interno della piattaforma che si è costituita parte civile nel processo. L’autore del reato è stato altresì condannato al risarcimento del danno causato, derivante da tale condotta.

Come analizzato, la diffusione di contenuti diffamatori e non veritieri, c.d. fake news, a mezzo Internet e social media, è idonea a cagionare danni reputazionali alle persone giuridiche, travisandone e distorcendone l’identità online. Appare altamente probabile come tali contenuti lesivi dei diritti della personalità riferiti alla persona giuridica accadranno sempre con maggior frequenza e capacità offensiva, stante la menzionata diffusione di nuove tecnologie come quella deepfake.

Conclusioni

La questione della tutela dei diritti della personalità, fulcro di fondamentali riflessioni nel sistema di tutela civile della personalità come storicamente delineatosi nel modello giuridico di civil law, continua a rimanere al centro del dibattito attuale giurisprudenziale e dottrinale. Una volta prese le distanze da iniziali posizioni dogmatiche rigide, il paradigma dei diritti della personalità, ivi inclusa la tutela dell’identità personale, è capace di adattarsi ad un contesto come quello attuale, seppur permangano alcuni interrogativi irrisolti. Con l’emergere di nuove situazioni giuridiche, come ad esempio la tutela di un account di social media riferibile ad una persona fisica influencer, connessa ad una distinta persona giuridica, la tutela della reputazione è funzionale a proteggere un vero e proprio asset intangibile. Le distinzioni tra persona fisica e giuridica si fanno sempre più labili, in questo caso ipotetico, rispetto cui sarebbe interessante osservare l’evoluzione giurisprudenziale sulla possibile configurazione del danno risarcibile, nei suoi profili patrimoniali come non patrimoniali.

Rimane sullo sfondo l’eterna la questione della responsabilità dei provider che sono tenuti, secondo alcuni giudici di merito, a controllare la pubblicazione del contenuto creati dagli utenti e, ad ogni modo, alla rimozione dei contenuti segnalati, accogliendo richieste fondate di de-indicizzazione. Come evidenziato in dottrina, le piattaforme sono inclini ad una facile “contrattualizzazione” dei profili extracontrattuali dei rapporti tra gestore ed utente, al fine di prevenire, se non addirittura annullare i rischi e le responsabilità derivanti dalla gestione della piattaforma stessa e, in particolare, dalla moderazione dei contenuti, così delineandosi un assetto squilibrato, oneroso per l’utente (cfr. in tal senso S. Sica-G. Giannone Codiglione, Social network sites e il “labirinto” delle responsabilità, in Giur. merito, 2012, p. 2714).

Infine, se rimane centrale il diritto a che la propria identità personale non venga alterata, distorta, travisata, bisogna attendere come i giudici di merito affronteranno i nuovi casi riguardanti le lesioni dei diritti della personalità scaturenti dall’uso malevolo dell’intelligenza artificiale e, come accennato in precedenza, dalla diffusione del deepfake, tecnologia idonea a creare contenuti diffamatori e non veritieri assai credibili e, pertanto, lesivi dell’identità del soggetto offeso.